Eccolo, è tornato. Mario Draghi, un premier che difficilmente si concedeva in interviste e conferenze stampa, salvo poi accedervi ricoperto dagli striscianti applausi dei cronisti, dopo qualche mese di “ritiro” si riprende la scena. E lo fa nella sua prima uscita pubblica a Cambridge per ricevere il Miriam Pozen Prize dal Golub Center for Finance and Policy del Massachusetts Institute of Technology (solo per il nome, servono due targhette). L’ex governatore della Bce ha parlato di tutto un po’, dell’economia e dell’inflazione galoppante, ma anche e soprattutto di geopolitica. Un Mario Draghi battagliero, pronto a sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria” forse più di quanto non avesse lasciato intendere durante la sua permanenza a Palazzo Chigi.
Ricorderete, infatti, l’equilibrismo – dovuto alla presenza del M5S in maggioranza – con cui si mosse Supermario sull’invio di armi all’Ucraina. Mai fatte mancare dall’Italia, va detto. Ma con la rassicurazione all’opinione pubblica, e ai partiti di maggioranza, che fossero solo “armi difensive” per fermare l’avanzata di Putin ed evitare il collasso di Kiev. Nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata: all’Ucraina arrivano razzi a lunga gittata, carri armati e armi letali. Zelensky si prepara alla controffensiva. Di pace non parla più nessuno. E così anche Draghi oggi non si esprime più con la pacatezza di un tempo: “Per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati, non c’è alternativa ad assicurare che l’Ucraina vinca questa guerra“, dice Supermario. E siccome per Zelensky “vincere” significa riconquistare il Donbass e pure la Crimea, appare chiaro che l’ex premier sostenga l’avanzata ucraina ben oltre Kherson.
Per approfondire
Da economista, a Cambridge non sono mancate neppure le riflessioni sull’economia. “Negli anni Novanta – ha detto Supermario – molti credevano che la globalizzazione avrebbe diffuso i nostri valori, portando prosperità e democrazia per tutti. Ci aspettavamo una convergenza dei valori globali, che avrebbe modellato le generazioni future. Non è stato così. La prima ipotesi sbagliata è stata che l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale dei commerci l’avrebbe spinta verso l’economia di mercato. La seconda che accogliere la Russia nel G7 e G20 l’avrebbe portata alla democratizzazione e modernizzazione”. E poi c’è l’inflazione. Draghi dà tutta la colpa alla guerra e al rincaro dell’energia, dimenticando – chissà come mai – gli anni di moneta a basso costo iniettata sul mercato dalla “sua” Bce. Non ci attendevamo certo un mea culpa. Però forse è anche alla Banca centrale che bisognerebbe ripensare quando Draghi auspica di “ridisegnare l’Ue” per “accogliere al suo interno l’Ucraina, i Paesi balcanici e quelli dell’Europa orientale”.
Non che il ritorno di Supermario abbia lasciato chissà quale segno. Le soluzioni ai problemi per l’ex governatore della Bce sembrano essere quasi sempre le stesse: per superare la crisi creata dalla guerra, per affrontare le sfide nella catena dell’approvvigionamento e nel clima, Draghi pensa a “deficit sempre più alti” per gli Stati. Tradotto: “investimenti pubblici sostanziosi” finanziati a debito, se Dio vuole senza aumenti delle tasse, ma che in futuro significheranno altri sacrifici per le generazioni future. Bentornato Mario.
Franco Lodige, 8 giugno 2023