Cultura, tv e spettacoli

“E’ un film sulla Danimarca…”. A Venezia il regista smonta la boiata sulla “diversità”

Il botta e risposta tra il giornalista ed il regista, durante il Festival

Sta per volgersi al termine l’ottantesima edizione del Festival del cinema di Venezia, iniziata lo scorso 30 agosto e che si concluderà nella giornata di domani. Dopo il terremoto scatenato dalla parole di Pierfrancesco Favino, in merito al fatto che sia “assurdo” che attori stranieri interpretino personaggi italiani, pochi giorni fa è intervenuto sulla questione anche l’attore Mads Mikelsen, sostenendo la tesi di Favino, ma con una frecciata: “Se in Francia, in Germania, in Italia e in Spagna smettessero di doppiare i film in tutte le lingue, potrebbe costituire un elemento importante per affrontare il problema”.

Un Festival infuocato, che nelle ultime ore ha avuto – ancora una volta – come protagonista l’attore danese, durante la conferenza di The Promised Land, film diretto dal regista Nikolaj Arcel. A sorprendere, in questo caso, è stata la domanda di un giornalista presente in sala, che in modo indispettito ha chiesto all’attore ed al regista perché il cast del film sia interamente nordico, contrario quindi ai principi di diversità.

Peccato che il film ricalchi il periodo storico in Danimarca nel 1750, come sottolineato dallo stesso regista. Il cast, infatti, è ambientato nella brughiera danese del diciottesimo secolo, ma pare che per il giornalista – anche nel racconto storico di tre secoli fa – l’intero film debba essere revisionato attraverso la lente d’ingrandimento politicamente corretta.

Insomma, non sarebbe il primo caso di “revisionismo cinematografico”. A patire questa preoccupante ascesa sono sicuramente gli Stati Uniti, dove negli ultimi anni si è cercato di conformare il mondo del cinema a canoni sempre più progressisti, radical-chic e “rispettosi” delle diversità etniche. Un caso lampante, per esempio, sono i film della Disney.

Il colosso si sta impegnando da tempo in un personalissimo revisionismo storico, decidendo di eliminare dalla sezione dedicata ai bambini ben tre film, colpevoli di diffondere stereotipi dannosi: Peter Pan, Dumbo e Gli Aristogatti. Il motivo? “Questo programma include rappresentazioni negative e/o denigra popolazioni e culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono ancora. Piuttosto che rimuovere questo contenuto, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo”, si legge ora nell’avvertenza che precede i titoli di testa dei film.

Una censura che si è tentata di applicare anche al Festival di Venezia, nei confronti di film la cui unica “colpa” è quella di raccontare ed ambientarsi in Paesi vissuti quasi interamente da bianchi, soprattutto se si parla di tre secoli fa. Eppure, il politicamente corretto non vuole accettare ciò che è stato e ciò che è accaduto: il tentativo è sempre quello di ridisegnare la storia, in nome del preoccupante fenomeno della cultura della cancellazione che piace tanto al mondo progressista. O forse, meglio ancora, della cancellazione della cultura.

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