È nell’ora più buia, che ci accorgiamo di quanto le nostre classi dirigenti siano inadeguate alla sfida dei tempi. Per rimanere alla metafora dell’oscurità, le élite di oggi sono come le vacche nere nella notte nera. Tutte: dal governo italiano ai tecnocrati europei, dalla Chiesa, agli intellettuali, al calcio. Gli aedi dell’antipolitica dicevano che uno vale uno. Loro, però, valgono zero. Ma pure gli anni di retorica sui “competenti” si sono sgretolati alla prima emergenza autentica (che poi, economicamente, è la seconda in una decina d’anni: e neppure il precedente è eccelso). Si può discutere lungamente sulle cause di questo decadimento atomico delle classi dirigenti. Si può aggiungere, a loro parziale discolpa, che la pandemia è per certi versi una crisi inedita (mentre, ad esempio, i Churchill o i De Gaulle, prima di trovarsi nell’inferno della seconda guerra mondiale, avevano già vissuto la prima). Per un’analisi del genere ci vorrebbe un libro. Qui, al massimo, possiamo trastullarci con una tragica galleria dei personaggi cui – ahinoi – sono affidate le nostre sorti.
Giuseppe Conte: il Vanesio. Doveva essere, stando al portavoce Rocco Casalino, il premier con meno apparizioni tv di sempre. Invece è tutti i giorni in video e sui giornali. Adesso ha anche delle ammiratrici social: “Le bimbe di Giuseppe Conte”, su Instagram, conta 270.000 follower. S’è paragonato a Winston Churchill, ma la fiducia riposta in lui dal 71% degli italiani (così assicura il sondaggista Ilvo Diamanti) sembra, più che un’entusiastica ammirazione, l’ultimo disperato appiglio di chi non sa più a che santo votarsi. Alla prova dei fatti, s’è dimostrato un ottimo spargitore di aria fritta, per quanto grandiosamente imbellettato. Prima, ignorando i virologi, ha rifiutato di mettere in quarantena chi tornava dalla Cina, chiudendo tuttavia i voli diretti e piombando il Paese nella giungla degli irrintracciabili arrivi con lo scalo. Poi è andato avanti a tentoni, di indiscrezione in indiscrezione, di decreto in decreto, imponendo (con 24 ore di ritardo, affinché sembrasse farina del suo sacco) le misure invocate dai governatori leghisti. Ha persino fatto lo scaricabarile sui medici di Codogno, ma per favore, non paragonatelo al generale che accusò i soldati della disfatta di Caporetto, Luigi Cadorna. Per rispetto di Luigi Cadorna.
Sergio Mattarella: il DesapareciNo. Stendiamo un pietoso velo sulla sua visita alla scuola cinese dell’Esquilino, dove s’era recato nei giorni in cui volevano convincerci che la vera emergenza nazionale fosse il razzismo. Tanti come il presidente, per la verità, che però della categoria è ovviamente il più illustre rappresentante. A un certo punto era sembrato che fosse stufo degli scivoloni del duo Conte-Casalino, tanto da essere pronto a sostituire in corsa il premier “pochettato”. Poi è andato in stand by. Deve aver perdonato Giuseppi. Ha saggiamente bacchettato la Bce, per tornare in campo, invocando l’unità nazionale, quando s’è incrinata la solidarietà politica del centrodestra. Nel frattempo, si sono sprecati gli attestati di stima e amicizia tra Mattarella e Xi Jinping. Forse l’inquilino del Quirinale non è il miglior comandante in capo che potessimo aspettarci. Ma sicuramente è il miglior amico di Pechino.
Beppe Sala: l’Involtino. L’8 febbraio era nella Chinatown milanese per sconfiggere, pure lui, il razzismo. S’è fatto immortalare mentre gustava un po’ di leccornie pechinesi. Col senno di poi, una mossa impropria. Ma il sindaco più fighetto d’Italia non è uno che demorde. E così, dopo il primo decreto del governo, l’avevamo ritrovato a organizzare, con Nicola Zingaretti, il fantozziano aperitivo dem sui Navigli, celebrazione degli assembramenti che le autorità sanitarie e l’esecutivo regionale imploravano di evitare. Perché, per dispetto ai leghisti, #Milanononsiferma. Travolto dagli eventi, Sala ha però dovuto pregare i cittadini di “ridurre la socialità”. Dopo s’è defilato, imbarazzato, in attesa che ci si dimentichi di quando si preoccupava per il business degli involtini primavera e del riso alla cantonese. Almeno, non ha assaggiato la tartare di pipistrello.
Christine Lagarde: la Gaffeuse. Che il suo mandato dovesse sancire la fine del paracadute della Bce, introdotto da Mario Draghi, era chiaro. Ma per fare la rigorista, ha scelto il momento peggiore, mandando a picco le Borse di tutta Europa e letteralmente radendo al suolo Piazza Affari. È stata costretta a chiedere scusa per la sua sortita (“non siamo qui per contenere lo spread”). Alla fine ha dovuto persino tirare fuori il bazooka: il maxi quantitative easing da 750 miliardi. Al che uno si chiede: ma se un microrganismo ha abbattuto i dogmi dell’eurozona – quelli che peraltro i Paesi all’apparenza più zelanti non hanno mai rispettato –tutto questo attaccamento a parametri di Maastricht, divieto di aiuti di Stato, controllo dell’inflazione eccetera, era solo un conglomerato di superstizioni?
Roberto Gualtieri: l’Acquafresca. Le urne di Roma centro, quasi svuotate dal coronavirus, gli hanno rovinato la festa per la conquista del seggio alle suppletive. Le armi da lui messe in campo per combattere l’emergenza economica sono a dir poco spuntate. Acqua fresca, appunto. Un’elemosina di 600 euro alle partita Iva (professionisti esclusi), un congedo parentale di due settimane (a metà dello stipendio), tasse rinviate di due mesi (solo ad alcune imprese). Senza contare che dopo la chiamata di Enrico Letta, insieme a Conte, s’era scoperto tafazziano, con l’ideona di ricorrere al Fondo salva Stati. Gli apologeti dicono: senza condizionalità. I detrattori invece sospettano che ci saremmo ritrovati in casa la Trojka. La quale, se è vero ciò che disse Federico Fubini, rispetto al virus è meno attratta dagli anziani: in Grecia, la sua “cura” ha aumentato la mortalità infantile. Nel frattempo, via XX Settembre, con Gualtieri, ha approfittato del decretone per accelerare sulla nazionalizzazione di Alitalia. Per certe cose, i soldi non mancano mai.
Angela Merkel: la Negazionista (pentita). Sembra che l’untore di Codogno venisse dalla Baviera. In Germania, nessuno lo sapeva. Per forza, lì per farsi un tampone bisogna raccomandarsi a san Pietro Canisio, patrono nazionale. E ai defunti, il test clinico non si somministra. Che sia l’economia o la sanità, in Germania si trova sempre il modo per truccare i numeri. Con la scusa dell’autonomia dei Länder, la cancelliera è riuscita a lungo a minimizzare l’epidemia, contenendo il panico e soprattutto limitando il tracollo finanziario (secondo la dottrina del ministro Peter Altmaier). Alla fine, la Merkel ha ceduto. Prima la sortita sul 70% dei tedeschi a rischio contagio, poi il drammatico discorso sulla “sfida più grande dalla seconda guerra mondiale”. Angela non poteva incontrare banco di prova più arduo, per congedarsi dalla sua leadership quindicinale.
Vincenzo Spadafora: il Minaccioso. Fa parte, come Casalino, del cerchio magico di Conte. E si vede. Imbarazzante la sua conduzione del capitolo sport, di cui è ministro. Aveva invocato partite a porte chiuse ma in chiaro, raccogliendo la disponibilità di Sky ma scordandosi che la pratica andava sbloccata da un atto del governo. Governo di cui è esponente. All’ultima giornata di Serie A (gestita in maniera altrettanto dilettantesca dal presidente di Lega, Paolo Dal Pino), ha fatto l’indignato perché Parma e Spal stavano scendendo in campo. Le ha fatte tornare negli spogliatoi, poi ha cambiato idea. Anche lì, s’era scordato dei poteri dell’esecutivo sullo stop al campionato. Stesso copione per il jogging: prima Spadafora l’ha autorizzato, dopo ha minacciato di proibirlo. È stata la sua strategia per combattere la sedentarietà: con tutte queste giravolte, di attività fisica ne ha fatta parecchia.
Papa Francesco: il Fazioso. La triste carrellata non poteva che chiudersi con il capo della Chiesa. In tempi mediocri, manco Oltretevere si brilla per autorevolezza. Non c’è stato il tempo per compiacersi di un Pontefice che è andato in chiesa a pregare perché Dio fermasse la pandemia, a differenza di tanti vescovi ridotti a dispensare consigli igienici, come ministri della Sanità. Subito, infatti, Francesco ha sentito il bisogno di interloquire con Repubblica. Niente contro Repubblica, per carità. Solo che i Papi un tempo citavano Sant’Agostino, San Tommaso, i filosofi greci, o addirittura – discorso di Ratisbona di Benedetto XVI – gli imperatori bizantini. Lui, invece, ha citato Fabio Fazio. Peggio: un pensiero banale di Fabio Fazio. Nostalgia canaglia: nell’altra ora più buia, in Vaticano avevano Pio XII…
Alessansro Rico, 20 marzo 2020