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Le sanzioni alla Russia

Ecco come Putin si fa beffe delle sanzioni

Le sanzioni alla Russia si stanno rivelando un flop: Putin sta riuscendo a sanare le penurie commerciali con l’Occidente

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Doveva essere il colpo più grande che l’Occidente avrebbe sferrato contro l’economia di Putin. E invece si sta rivelando un danno più per il sanzionatore che per il sanzionato. Stiamo parlando, ovviamente, delle sanzioni che i Paesi dell’alleanza atlantica hanno deciso di applicare contro la Russia, a partire dell’invasione dell’Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio.

Pochi giorni fa, sulle colonne del Corriere della Sera, era il giornalista Federico Rampini a spiegare come gli effetti delle sanzioni, almeno in questo breve termine, non avessero inciso sul pil della Federazione, come invece stimato dagli analisti sia europei che russi. La ricchezza di Mosca, nel 2022, ha perso poco più di 2 punti percentuali, rispetto alla doppia cifra che era stata ventilata nei mesi precedenti da economisti e esperti. E questo è dovuto essenzialmente alla capacità geopolitica del Cremlino di essere riuscito a sanare le penurie occidentali, con una nuova e rinnovata rete di accordi con i Paesi emergenti asiatici e mediorientali.

Si badi bene. Da più di un decennio, la Russia è membro del Brics, l’alleanza composta da Cina, Sudafrica, India e Brasile, che accomuna proprio quegli Stati in contrapposizione a quella che è la linea atlantica, e che propone un nuovo sistema commerciale mondiale, attraverso numerosi scambi e accordi plurilaterali, cercando di sviare il dominio globale del dollaro.

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L’alleanza sembra iniziare a dare i suoi primi frutti rilevanti. E la prima a goderne – dato il contesto geopolitico – non poteva che essere la Russia. Prendendo come esempio la Cina, infatti, l’aumento degli acquisti cinesi di esportazioni russe, trainato dalle vendite di energia, ha più che compensato il calo dei vecchi partner commerciali: Stati Uniti, Regno Unito e i Paesi dell’Unione Europea.

A giustificare questa scelta strategica di Putin è anche il rapporto della Free Russia Foundation, il quale dimostra chiaro e tondo in che direzione stia andando il commercio di Mosca, e quali siano i nuovi principali partner. Al primo posto, appunto, Putin ha aumentato i propri rapporti economici con Xi per una cifra che sfiora i 30 miliardi di dollari, per mancare di poco un interscambio complessivo pari a 100 miliardi di dollari.

Come riportato anche dal Wall Street Journal, “la Russia è diventata più dipendente dalle merci cinesi. Circa il 36% delle sue importazioni proveniva dalla Cina nel periodo da marzo a settembre. Si tratta di un forte aumento rispetto al 21% del 2021 nello stesso periodo”. Una strategia quasi obbligata, soprattutto dopo l’entrata in vigore del divieto sudcoreano, americano e giapponese della vendita di prodotti ad alta tecnologia, compresi i semiconduttori che Putin ha cercato di dirottare verso l’alleato del Dragone. E ancora: “La Cina ha venduto 3,3 milioni di dollari di veicoli aerei senza equipaggio, o droni, alla Russia l’anno scorso, secondo i dati. Le consegne di droni in Russia sono continuate a novembre e dicembre dagli Emirati Arabi Uniti, Hong Kong e Singapore”.

A questi Stati, si aggiungono poi Kazakistan e Kirghizistan, da cui la Russia acquista i chip, ed anche la Turchia, Paese che ha un interscambio con Mosca pari quasi al doppio rispetto a quello del 2021, sfiorando la somma di 10 miliardi di dollari. Infine, ancora in ambito tecnologico, è l’Armenia ad aver registrato un’esplosione nelle sue esportazioni di smartphone verso la vecchia Unione Sovietica.

L’insieme dei nuovi legami geopolitici che Putin è riuscito a ramificare, ha portato il Fondo Monetario Internazionale a ristimare i dati sull’economia russa. E si tratta di un vero e proprio smacco per l’Occidente: nel 2023, si parla di una crescita dello 0,3 per cento, in netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3 per cento. A questo punto, c’è da chiedersi se le sanzioni abbiano veramente messo in ginocchio Vladimir Putin. La risposta pare negativa, anche perché – come riportato dal New York Times – molte nazioni hanno trovato difficile lasciare la Russia: “Recenti ricerche hanno dimostrato che meno del 9% delle società con sede nell’Unione Europea e nel Gruppo delle 7 nazioni aveva ceduto una delle loro filiali russe”.

Mosca ha deciso di sospendere la pubblicazione dei suoi dati economici lo scorso febbraio, dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma è lo stesso Sergey Aleksashenko, ex vice ministro delle finanze della Federazione Russa, che il 2023 sarà “un anno difficile, ma senza nessuna catastrofe o nessun collasso”. Un ottimisti che sembra essere stato smarrito in Europa.

Matteo Milanesi, 31 gennaio 2023