Ecco come risolvere il problema rifiuti (capito, Draghi?)

Liberare le città dall’immondizia? Non con bonus “malattia”. Bisogna liberalizzare

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Nel mirino ci va il sindaco, ma i dubbi calano sul premier. Intendiamoci, per risolvere l’emergenza rifiuti non ci si può appellare sempre all’Esercito, come accadde per Palermo e per Napoli. Ma il caso di Roma non può essere solo intestato a un cattivo debutto di Roberto Gualtieri. Il neo-sindaco ci ha messo del suo, ma si trova ad agire con le mani legate, o quasi. Non può sottrarsi alla camicia di forza con cui Ama – l’azienda che nella Capitale svolge anche i servizi di nettezza urbana – stringe Roma.

Il nuovo accordo su Ama

C’è una follia, comunque la si voglia intendere: l’accordo sugli incentivi per la pulizia della città, in cambio di una riduzione delle assenze dal lavoro ha già fatto ridere. E piangere. A fine novembre il testo dell’intesa è stato modificato, cancellando la parola “malattia”, per un soprassalto di decoro, solo formale. Nella sostanza si tratta di uno dei primi casi di assenteismo combattuto con aumenti retributivi e non con le visite fiscali.

Stendere un velo pietoso sui sindacati

Dicevo, pessima prova del sindaco Gualtieri. E di chi è stato da lui nominato al vertice di Ama: non credo che le aziende si possano amministrare con successo a colpi di regali, bonus e incentivi a fronte di un impegno di lavoro già contrattato. Sul ruolo delle organizzazioni sindacali si stende un velo pietoso. Ma nell’ombra compare il profilo del premier. Nulla che lo riguardi direttamente nel pasticcio della “monnezza” romana. Ma Mario Draghi ha mancato un’occasione importante per segnare una discontinuità nel processo di liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità a livello locale. Il Dl Concorrenza ha rappresentato una tappa infelice, un’occasione persa – purtroppo non l’unica opportunità sprecata in questi quasi dieci mesi di governo – per indicare quale Paese avremmo voluto vedere nel futuro.

Bisogna liberalizzare i rifiuti

Si parla spesso a sproposito di “privatizzazioni”, per scatenare i riflessi peggiori dello spirito anti-capitalistico che alberga ancora – ben nutrito – nella nostra Italia del Terzo Millennio. Il privato riesce ancora a innescare il tic nervoso di una società socialisteggiante, nel senso del socialismo reale, del comunismo d’antan. Sarebbe più corretto invocare le “liberalizzazioni”.

Liberalizzare la gestione dei servizi pubblici locali vuol dire dare spazio ai migliori e ai più efficienti. Se ancora una volta i rifiuti prodotti al Sud (o al Centro Sud, nel caso di Roma) prendono la strada del Nord per essere smaltiti, vuol dire che c’è un modello che risolve i problemi, e un altro che non sa gestirli. Non bisogna andare in Germania (dove spesso finivano e finiscono le tonnellate di rifiuti rimossi dalle nostre città), basterebbe fermarsi in Emilia Romagna o in Lombardia. A Bologna o a Brescia il ciclo di gestione dei rifiuti urbani è risolto da tempo, addirittura generando vantaggi economici per le comunità.

E allora perché lasciare la possibilità di mantenere sedicenti imprese – oltre all’Ama in questo elenco da black list dovrebbe comparire al primo posto l’Atac, sempre per restare alla latitudine capitolina – a produrre deficit e disservizi?

A nessuno viene il sospetto che i cittadini vogliano un servizio efficiente, invece che assistere alla distribuzione di benefici ai dipendenti assenteisti? Siamo sicuri che i pendolari della Roma-Lido avrebbero fatto barricate se la tratta fosse stata affidata a gara a una società straniera, piuttosto che vedere ridotti a 4 i treni sul percorso?

La strada delle liberalizzazioni non può essere imboccata autonomamente a livello locale – anche se Roberto Gualtieri non crediamo che vorrebbe divenirne un alfiere – ma dovrebbe essere segnata a livello centrale da una radicale riforma (peraltro richiesta dall’Europa) che nemmeno Mario Draghi è riuscito a portare in porto.

Antonio Mastrapasqua, 7 dicembre 2021

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