Alla fine, come dice Dino Zoff, friulano di legno duro, le cose sono lì, sono semplici, sono chiare, lineari: Meloni va eliminata “perché è pericolosa, più di Berlusconi” che almeno aveva un impero di segreti da difendere. Sta tutto lì, il resto sono chiacchiere. Meloni va eliminata, va fatta fuori. L’eterno sogno della magistratura! Far fuori quelli che sente di non dover servire. Tu puoi fare i libri verità, o scandalo, puoi tirar fuori le chat vergognose, le manovre fuorilegge, ma nel silenzio di chi davvero dovrebbe parlare non cambia niente e la magistratura lo sa. Tu puoi mettere in fila le continue ammissioni, tardive, storicizzate, degli eminenti del Pci quanto a giudici a servizio, come se tutto non fosse un continuum, puoi buttarti a cavallo di un cavillo, spiegare che il giudice scarlatto di turno “è stato frainteso”, ma da fraintedere c’è niente: Meloni va fermata, è pericolosa, questo lo sa leggere anche un analfabeta e lo intende anche un idiota. Tu puoi contorcerti in distinguo da azzeccagarbugli, fare la lista dei Paesi sicuri, nessuno, anche perché non ti premuri di definire in cosa starebbe questa sicurezza esoterica o mistica, puoi opporre l’ovvio e cioè che se c’è un Paese non sicuro è proprio l’Italia in cui questi giudici pretendono, e non lo nascondono, si concentri la totalità delle bibliche migrazioni, l’Italia dove un influencer in bicicletta può fare il giro del mondo ma appena passa da via Farini a Milano lo pestano, gli portano via il biciclo e se la “baby gang” che tanto si permette sta lì da anni, a dettare la legge dei senza legge, è segno che ce la lasciano, che qualcuno li protegge, poi se in modo attivo o voltandosi dall’altra parte cambia poco.
Tu puoi metterla come ti pare, scomodare i provocatori e i pubblicitati, ma sta tutto lì e resta lì: Meloni va bloccata. Ci son di quelle che vogliono a tutti i costi farsi male da sole, come la piddina Zampa, teorica del regime sanitario che in privato criticava, “non serve a niente, non funziona niente”, o tale Geloni che si produce credo su La7 e accusano a vanvera di tagli, di editing della letterina del giudice Patarnello, ma la versione integrale, non purgata come vorrebbero queste, è perfino più imbarazzante, stupisce per la carica ossessiva, per gli accenti quasi fanatici: il succo è che i giudici debbono agire, reagire, darsi da fare, già, ma fare che, anzi “che fare”? No, non esattamente un partito, i giudici questo lo sanno, che non possono farsi partito apertamente, sfidare apertamente la Costituzione che li vincola non possono permetterselo, però agire in supplenza di una sinistra fatua e tramortita, questo senz’altro, senza perdere tempo. Tu puoi girarci intorno, praticare l’esegesi del giudice Patarnello, ma le cose sono lì, chiare, lineari. Non un partito ma il solito braccio armato del solito partito come già ai bei tempi di Palamara, quello che alla fine ha ammesso ciò che era palese e, radiato dall’ordine giudiziario, si era candidato in politica a mo’ di risarcimento.
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L’aveva pensata bene Togliatti subito dopo la ricostruzione democratica con l’amnistia: ma sì, lasciateli pure al loro posto, reintgrateli gli sconfitti della magistratura fascista, tanto sono dei relitti che durano poco; piuttosto, occupate le scuole, le università che sforneranno tecnici a noi riconoscenti e funzionali. Tempo una generazione, e già nei Sessanta dei furori consumistici e operaisti sorgevano i pretori d’assalto e chi teorizzava apertamente l’uso del codice per destabilizzare e quindi ridefinire la società in senso marxista. Oggi, fallita la lotta di classe, come noto si ripiega sul migrantismo forsennato: i giudici leggeranno poco, ma il Toni Negri, ideologo del sovversivismo violento, quello lo mandano a memoria.
Non prendiamoci in giro. La storia della magistratura italiana è storia di potere nel potere. Fino a Tangentopoli che, intendiamoci, i presupposti li aveva, il sistema della politica ladresca stava collassando su se stesso, ma è stato usato per l’ennesima pretesa rigeneratrice, con la magistratura potere fra poteri, ma un po’ più degli altri. Da cui la faida eterna col Berlusconi imperiale, a imperitura memoria: chi ci sfida apertamente verrà annientato. E, a prescindere dalle contraddizioni e dal lascito politico di Berlusconi (discutibilissimo per chi scrive), il Cavaliere ne è uscito, se non annientato, minato in un modo terrificante: che a un dato momento i giudici ne facessero una questione personalissima, che volessero distruggerlo per il coacervo di opportunismi militanti e di fanatismo, oltre che malanimo personale, resta indiscutibile, resta evidente come doveva essere evidente. E questa attitudine, c’è poco da discutere, non cambierà mai perché la magistratura non può cambiare, o è come è o non è, una magistratura distaccata, equanime, avulsa dal potere, dagli altri poteri in Italia è un nonsenso che non si pone, peggio, un’eresia da combattere. Nel silenzio assenso di chi si succede al vertice, regolarmente.
Tu puoi metterla sul moralismo, stracciarti le vesti, ma è chiaro che è tutta recita, spesso penosa: di Nordio dissero: non può fare il ministro, andava a cena con Previti; e lo dicevano frequentatori dei centri sociali o tifosi di ong. E senza nascondersi, al contrario difendendo le libere scelte del cittadino magistrato. La doppia morale in casa giudiziaria è parte della teoria, noi con la toga addosso non siamo come la plebe che regoliamo, noi la Costituzione la usiamo, all’occorrenza, come clava, la teniamo per il manico. Vedi ai tempi del regime concentrazionario con la scusa della pandemia, misure fuor dalla grazia d’Iddio, oltre che della Sacra Carta, ma che la Corte Costituzionale, non da sola, legittimava col pretesto di tempi emergenziali che se mai erano millantati non come presupposto ma come conseguenza, effetto di scelte eversive.
Tu puoi mentire a te stesso, rifiutare la realtà, rimuovere l’impossibile ma la lettera del giudice Patarnello sta lì come ci sta il sabotaggio cavilloso e pretestuoso della soluzione albanese come ci stava quello di Cutro, la messa ai ceppi di Salvini che faceva quello che tutta Europa fa oggi, in modo assai più brutale (e nessuno fiata), come ci stanno le magistrate o giudicesse, come preferiscono, in piazza coi manifestanti che sbraitano contro l’allora ministro dell’Interno, unicum italiano, come ci stanno i convegni della Magistratura Democratica per dire in pubblico quello che un giudice incauto, ma neanche tanto, dice in camera caritatis ai compagni di corrente. Niente di che, anche il giudice ha diritto di opinione e magari di vaneggiamento, come quelle che alle prese con gli stupri migranti assolvono e motivano: ma al suo Paese si usa così.
Vogliamo dire che tutto qui è chiaro, semplice, lineare, metodi, attitudini, logiche, obiettivi, chiaro e immutabile e va inquadrato storicamente, va inserito nella scia della lunga tradizione della magistratura democratica, per così chiamarla. Saranno anche state travisate le parole del giudice incauto, poi vedremo che fine farà, se promosso o candidato, ma altra corrente, quella di Magistratura Indipendente, chissà se travisando a sua volta, se ne è dissociata: “Un governo non può essere preso come un nemico da abbattere, noi giudici dobbiamo non solo essere ma anche apparire del tutto indipendenti”. Come la moglie di Cesare. Quanto a dire: noi sappiamo chi siamo, non saremo tutti così ma la maggior parte di noi è così.
Max Del Papa, 22 ottobre 2024
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