di Matteo Milanesi
Aveva ragione Milton Friedman, premio Nobel nel 1976, quando ricordava che una misura statale temporanea – magari attuata anche in buona fede – si trasforma inesorabilmente in una misura permanente. Quello che sta accadendo in Italia da due anni ricalca esattamente ciò che l’economista aveva previsto oltre quarant’anni fa. Lockdown, limitazioni delle libertà individuali e restrizioni dovevano essere misure di contenimento eccezionali per far fronte a un’emergenza temporalmente limitata. Al contrario, tutti questi strumenti, da lungo tempo svincolati da qualsiasi controllo legislativo e costituzionale, si stanno dimostrando mezzi per raggiungere un nuovo fine, una nuova normalità: la vita a contagio zero.
Si badi bene: il green pass nacque come strumento temporaneo per viaggiare all’estero, attestando di aver completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni, oppure di essere guariti da Covid-19 entro 180 giorni dal primo tampone positivo. Il monito era essenzialmente uno: provare di essere immuni dal virus. Nel corso di questi mesi, non solo la certificazione verde è stata estesa a quasi tutte le attività quotidiane della vita, compreso il lavoro, calpestando principi fondamentali a partire dall’art. 1 Cost., ma sarà ulteriormente rafforzata, nonostante i dati epidemiologici abbiano dimostrato come la misura non dia alcuna prova di immunità, non sia stata efficace nel contenimento del virus, e non abbia portato neanche alla conclamata corsa alle prenotazioni delle prime dosi da parte dei più scettici.
Se volgiamo uno sguardo al bollettino del contagio a partire dal 15 ottobre, data in cui il green pass fu esteso alle attività lavorative, notiamo che i casi sono in costante crescita. Attenzione: non stiamo dicendo che l’aumento dei contagi sia responsabilità del lasciapassare, ma – più semplicemente – affermiamo che lo strumento sia stato irrilevante. La figura in basso mostra il confronto tra i nuovi casi giornalieri di quest’anno (linea nera) e quelli dei precedenti dodici mesi (linea grigia). Guarda caso, l’aumento dei contagi parte proprio dalla metà del mese di ottobre e continua ancora oggi, a green pass pienamente in vigore.
Ciò vuol dire che, paradossalmente, un vaccinato da più di sei mesi dalla seconda dose potrebbe essere più a rischio rispetto ad un non vaccinato con tampone negativo risalente a poche ore prima. A questo punto, la domanda che sorge è la seguente: che senso ha applicare un super green pass anche in zona bianca, riservato solo ai vaccinati, gli unici che avranno accesso alle attività ricreative, sapendo che la certificazione verde non garantisce l’immunità e non è funzionale al contenimento del contagio? Anzi, si potrebbe arrivare ad un incredibile paradosso: c’è il rischio che circa sei milioni di italiani, vaccinati da almeno cinque/sei mesi, siano in possesso del green pass, ma in condizioni del tutto assimilabili ai non vaccinati perché potenzialmente scoperti dalla copertura vaccinale.