Ma non finisce qui. Se la certificazione verde fosse un mezzo effettivamente utile nel contenimento del contagio, è evidente che, a quel punto, sarebbe da estendere a tutte le attività della vita quotidiana. E allora, perché per una tagliata di capelli dal parrucchiere non è richiesta? Perché per comprare un paio di scarpe o un vestito in un negozio non è obbligatoria? Perché il tampone al lavoro sarà necessario per i non vaccinati, mentre la cena al ristorante sarà riservata ai soli vaccinati, unici possessori del super green pass? E ancora: perché i giornalisti invitati in un talk show televisivo dovranno essere vaccinati con due dosi, “greenpassati” e tamponati, mentre se lo stesso giornalista entra in una libreria o in un supermercato non gli verrà chiesto nulla di tutto ciò?
Anche sul fronte delle somministrazioni di nuove prime dosi, il lasciapassare non ha dato i frutti voluti. La figura in basso mostra come, nella prima settimana di obbligo del green pass per lavorare, dal 14 al 21 ottobre, le vaccinazioni hanno subito una flessione del 21%, con i picchi maggiori nella fascia 40-49 anni (-26,1%) e 50-59 anni (-25%).
E allora: perché gran parte dell’arco politico – con pezzi anche del centrodestra – si ostina a promuovere ed estendere l’utilizzo del green pass? Forse qualche politic maker si è affezionato allo stato di emergenza in cui ci troviamo da quasi due anni? Lasciamo l’ardua sentenza al lettore.