C’ è un veloce saggio di Lee Edwards della Heritage Foundation riscoperto e ripubblicato da L’opinione che vale la pena leggere. Si chiama Le origini del movimento conservatore americano.
Secondo Edwards tutto nasce nel 1953 con The Conservative Mind di Russel Kirk. «L’idea centrale è quella della libertà ordinata: una fusione tra esigenze della società e responsabilità individuali, tra un governo controllato e mercati liberi».
In piena epoca sovietica, di guerra fredda e politiche keynesiane, le idee dei conservatori faticano a prendere piede. Ma, è questa la tesi interessante di Edwards, la cultura conservatrice, che si sposa con quella liberale, impiega almeno tre decenni per affermarsi.
Si raffina, si confronta con le presidenze che si susseguono e sboccia, aggiungiamo noi, con gli anni Ottanta di Reagan. Che sono figli di quella «libertà ordinata» teorizzata trenta anni prima.
Nel tempo si organizzano centri culturali potenti nel campo delle idee. National Review fondata nel 1955 da Buckley «chiama a raccolta i pensatori conservatori e comincia a trasformare le loro idee nell’ossatura di un movimento politico».
In questo contesto si inserisce una figura politica che si rivelerà determinante, Barry Goldwater, che banalmente anticipa il pensiero liberale con posizioni politiche del tipo: «Il mio scopo non è far approvare leggi, ma abrogarle». Goldwater perse poi malamente le elezioni presidenziali contro Johnson, ma portò «l’ingresso di migliaia di giovani nella politica americana e nelle istituzioni».
La sua candidatura «fu come il primo amore per innumerevoli giovani uomini e donne, non sarà mai dimenticata e considerata preziosa. Fu l’inizio, più che la fine, dell’ascesa politica del conservatorismo».
Su questo terreno, come dicevamo, nascerà il fenomeno Reagan, prima in California e poi alla Casa Bianca. Il saggio continua fino ai giorni nostri.
È interessante notare i due ingredienti fondamentali che Edwards individua come vincenti per l’affermazione dei principi conservatori (anche se sarebbe più corretto definirli liberali classici): 1) la nascita di una giovane classe dirigente che dopo la traversata nel deserto della sconfitta forma una classe dirigente pronta a guadagnare le stanze del potere.
2) E la seconda, altrettanto importante, e che temporalmente nasce anche prima, riguarda un’elaborazione culturale sofistica ed innovativa del pensiero conservatore.
Senza testa e braccia i liberali non vincono: sono entrambe indispensabili.
Nicola Porro, Il Giornale 10 settembre 2017