“La mai sopita aspirazione egualitaria che vorrebbe gli individui ridotti a bocce da biliardo dello stesso colore e dello stesso diametro riaffiora in questi tempi, sotto mentite spoglie, e ci affligge con vagoni di nauseante melassa statal-solidarista-redistributiva. Questo breve e amaro racconto potrà forse servire da efficace antidoto.” Con queste parole, nella nota dell’editore, Aldo Canovari accompagna il lettore nel potente e drammatico viaggio costituito della lettura di “Antifona” di Ayn Rand, appena pubblicato in una nuova edizione.
La grande scrittrice russa naturalizzata americana, divenuta formidabile autrice di libri che esaltano la libertà individuale e il sistema capitalistico come il solo in cui l’intelligenza umana possa trovare la sua via di espressione, in questo splendido romanzo breve delinea il profilo di una spaventosa società distopica in cui il singolo, l’individuo, è stato abolito a favore di un soggetto collettivo.
Dopo una guerra catastrofica una nuova società è sorta in cui ogni forma di individualità è stata abolita perché considerata temibile, causa di scontri e di tensione. In nome della pace e della fratellanza persino la possibilità di dire “io” è stata cancellata. La prima persona singolare è divenuta tabù per eccellenza a tal punto da non poter neppure essere pronunciata. Solo il “noi”, esiste, solo il “noi” è tollerato. Ma un uomo, un individuo, si ribellerà…
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In pagine scritte con denso lirismo, con una forza letteraria che è stata donata a pochi altri autori del Novecento, Ayn Rand ripercorre i passi di un individuo che attraverso la propria volontà e la propria intelligenza si libera dalle catene dell’uguaglianza forzata, di una tirannia che in nome di un indefinito bene sociale riduce ciascuno a un nulla collettivo. Un individuo che si libera per poter tornare a dire “io”, a riaffermare il valore assoluto del singolo con orgoglio, razionalità e realismo.
Il racconto di Ayn Rand mostra, in maniera plastica, come il dominio di un ideale carico di apparenti buone intenzioni possa portare alle conseguenze più oscene e disumane. Una frase, in maniera sintetica e insuperabile ben riassume la mostruosa distopica rappresentata nel libro: “Ciò che non è pensato da tutti gli uomini non può essere vero”. Questa affermazione è facile scriverla in maniera “affermativa” ossia “ciò che pensano tutti gli uomini deve essere vero”. Ci suona familiare una frase del genere? Pensandoci un attimo, è facile intravedere la pretesa di cambiare la sostanza delle cose semplicemente mutandone il nome, purchè attorno vi sia il necessario consenso. Detta in maniera ancora più esplicita, e in maniera puramente esemplificativa: non importa l’identità oggettiva/biologica di una persona, ciò che importa è il modo in cui ci si sente e il modo in cui ci si definisce. Nel momento in cui la maggioranza sarà d’accordo con la “nuova realtà” quella nuova realtà diverrà la realtà effettiva qualora ci sia una legge disposta a vidimare quella realtà. L’attenzione al reale, all’oggettivo, è centrale in tutto il pensiero e le opere di Ayn Rand e trova in questo testo breve ma estremamente evocativo una delle sue formulazioni più intriganti.
Il libro è attraversato anche da un altro motivo di fondamentale importanza per la scrittrice, ossia lo svilimento del valore dell’azione individuale a favore dell’azione collettiva, del primato del “sociale” sull’“individuale”. Ciò che ha valore sociale risulterebbe quindi il bene, mentre l’azione individuale viene ridotta a cattivo egoismo. Questa prospettiva è per Ayn Rand, la peggiore, la più tossica, quella più radicalmente anti-umana. Nella prefazione alla seconda edizione del libro infatti scrive “Guadagni sociali, scopi sociali, obiettivi sociali sono diventati le banalità quotidiane del nostro linguaggio. La necessità di una giustificazione sociale per ogni attività e per ogni cosa esistente è adesso data per scontata. Non c’è proposta abbastanza oltraggiosa per la quale il suo autore non possa ottenere ascolto o approvazione rispettosi se dichiara che in qualche modo indefinito essa è per il ‘bene comune’.”
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