Cronaca

Allarme criminalità

Le “batterie miste” di etnie, il nuovo terrore delle città

I dati preoccupanti: boom di aggressioni da parte di baby gang. Un violento su due è straniero

baby gang stranieri © LagartoFilm e Kaique Rocha tramite Canva.com

La criminalità minorile degenera di giorno in giorno soprattutto al Nord dove sono aumentate le denunce accompagnate dall’aumento a dismisura di reati violenti: +39,4% per le rapine e +16% per lesioni, risse e percosse. Uno su due è straniero e si è altresì abbassata l’età dei giovani arrestati. Rispetto a 12 anni fa la criminalità minorile è aumentata di un terzo. Un effetto post pandemico di notevole impatto che porta a rialzare tutti i valori nel biennio 2020-22.

Questi sono i dati del “Rapporto criminalità minorile in Italia 2010-2022”, realizzato dal gruppo interforze del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale. Dati agghiaccianti che trovano conferma in uno scenario altrettanto raccapricciante che ha avuto vita negli ultimi tre anni. Fatti aventi ad oggetto rapine, furti, aggressioni e violenze sessuali. Infatti, nella prima settimana di novembre, una ragazza è sfuggita dai suoi assalitori che “hanno provato a violentarla”.
A raccontare quanto successo alla donna vittima della tentata violenza è stata una barista di un locale della zona: siamo in Rua Pioppa, casa della “movida” modenese.

Nel suo racconto si intravedono la paura e la rabbia che ormai hanno tutti i commercianti e i residenti del centro. “Siamo esausti – ha raccontato – la situazione qui è degenerata, precipitata del tutto. Noi cerchiamo di lavorare ma ogni giorno, per un motivo o per un altro, non riusciamo mai a sentirci al sicuro, tra rapine e altri comportamenti violenti da parte dei soliti noti, un gruppetto di giovanissimi stranieri”. E, stando ai racconti della barista, sono stati proprio alcuni di loro a “provare a palpeggiare quella povera donna”. Potrebbero essere stati gli autori della brutale aggressione in viale Martiri della Libertà, dove due ragazzi di 17 anni sono stati picchiati e rapinati proprio da una baby gang formata da una decina di nordafricani. “Non abbiamo più il diritto di lavorare – ha concluso la barista – e soprattutto ci stanno togliendo il diritto di fare una passeggiata in centro o di accompagnare i nostri figli adolescenti. Addirittura, noi bariste donne siamo così terrorizzate da questo clima di insicurezza che abbiamo paura quando dobbiamo chiudere il locale di notte e andare verso l’auto in sosta, magari sui Viali. Io, personalmente, mi faccio sempre accompagnare da almeno due persone, a maggior ragione ora dopo quanto successo a quella ragazza. Non può essere la normalità questa”.

Questi sono solo alcuni dei casi di violenza per mano di baby gang, che si sono consumati solo nella prima settimana di novembre. Una situazione degenerata nel periodo post pandemia con le segnalazioni che, dopo un calo progressivo di cinque anni, sono nuovamente aumentate nel 2021 e nel 2022 tornando ai massimi del 2015: 32.522 casi. Il tutto accompagnato da un’aggravante: il forte abbassamento dell’età dei migranti nonché l’impatto delle “seconde generazioni” che dimostra un sorpasso tra gli autori dei reati: nel 2022 il 52% sono stranieri, 17.032 su un totale di 32.522.
Numeri che confermano il cambiamento repentino dell’Italia e che si palesa soprattutto nelle città del Nord.

Al primo posto abbiamo Milano, dove ormai le baby gang hanno preso il sopravvento. Infatti, non si tratta più di organizzazioni “chiuse” o legate a una comune appartenenza etnica come, ad esempio, le bande di latinos, ma batterie miste dove convivono più etnie nonché più forme di disagio. Si parla di giovanissimi, alcuni sotto i 14 anni e quindi neppure imputabili, la cui principale “attività” è aggredire i coetanei per rubare catenine, cellulari, felpe, scarpe o anche solo pochi euro.

Alla gravità dei reati si aggiunge altresì la violenza “proporzionata” con cui si consumano e il modus operandi che consiste nell’ agire in branco. Tra i motivi di queste condotte incivili c’è “la pressione dei pari o l’appartenenza a gang possono indurre una deresponsabilizzazione, che è propria dell’agire in gruppo, ed avviare i giovani alla commissione di atti violenti come rito di passaggio o per guadagnare uno status”.

Da tenere presente altresì che queste condotte criminali per mano dei minori, sono dettate da problemi riguardanti la povertà e l’abbandono scolastico, come è stato sottolineato dagli analisti del Viminale. A loro avviso per contrastare questi fenomeni occorre “educare i ragazzi alla legalità, richiede un approccio olistico ed il coinvolgimento di vari attori in primis famiglia e scuola. La famiglia è la prima fonte di educazione ai valori e al rispetto delle norme in modo particolare sino alla fase dell’adolescenza”.

Ma, nonostante l’aumento della violenza tra i minori, il numero dei detenuti, invece, è in calo. Però è da ricordare altresì che su questo aspetto hanno giocato parecchio le riforme che, infatti, hanno introdotto misure meno afflittive.

Tornando alle cause della violenza tra i minori, oltre a quelle succitate, ci sono anche il web e i “modelli” preferiti dai giovani. Un tema delicato che, per di più, in questi mesi ha attraversato una fase politica calda per via delle recenti modifiche di legge sui minori. Gli esperti del gruppo interforze del Viminale hanno riportato che “Forme di desensibilizzazione alla violenza in ragione dell’esposizione continua ad immagini violente nei media o la spettacolarizzazione di comportamenti antisociali attraverso i social potrebbero ridurre la consapevolezza del disvalore sociale dei comportamenti violenti”. Gli esperti però non puntano il dito contro la tecnologia che considerano “in sé è neutra”, in quanto “il suo effetto dipende dalle modalità del suo utilizzo”.

Più che sul mezzo occorre guardare al contenuto: “Il reato commesso dai minori è spesso legato alla sua esibizione: i ragazzi potrebbero commettere dei reati al fine di farsi vedere e collezionare follower sui social. La spettacolarizzazione della violenza fa superare la paura della punizione”. Infatti, in molti casi, aggressioni e pestaggi finiscono su social e gruppi Whatsapp fino a diventare virali”. Su questo punto “il web può diventare anche il mezzo di diffusione prediletto tra i giovani di un immaginario ed un lessico brutali, come quelli di alcuni trapper che veicolano messaggi antisociali”.

Un altro aspetto inquietante messo è la “totale assenza di empatia nei confronti della vittima”. Gli esperti di reati minorili parlano di “percezione delle condotte violente” legata alla psicologia dei ragazzi e alla loro fragilità: “Recenti episodi violenti di cronaca che coinvolgono giovani evidenziano la totale assenza di empatia nei confronti della vittima. Tali comportamenti potrebbero celare una fortissima fragilità e incapacità a gestire le relazioni interpersonali da parte degli autori”.
In uno scenario che sembra essere sempre più irrecuperabile, da ricordare il decreto Caivano nato sulla scia dei crimini efferati di Palermo e Caivano, convertito in L.13 novembre 2023 n.159.

La normativa prevede anche novità per quanto concerne il degrado e la criminalità minorile, come pene più severe per chi non manda i figli a scuola, la reclusione fino ad 1 anno per le assenze ingiustificate del minore e precludere l’accesso all’assegno di inclusione in caso di mancata regolare frequenza a scuola. Previsto altresì I’inasprimento di pene per alcune misure di prevenzione come il Daspo, estese anche ai minori che hanno già compiuto 14 anni. Inoltre, è stato inserito il divieto dell’uso di cellulari e computer ai giovani responsabili di violenze tra i 14 e i 18 anni, ma in caso di condotte più gravi anche per quelli tra i 12 e i 14. Per il minorenne aumenta la probabilità di finire in carcere soprattutto se c’è il pericolo di fuga. Ma è previsto altresì un percorso di reinserimento e rieducazione del minore. Infine, i detenuti che abbiano compiuto i 21 o i 18 anni e che hanno atteggiamenti considerati violenti possono essere trasferiti in carceri per adulti.

Cambiamenti che hanno suscitato critiche perché troppo severi o forse perché finalmente conformi al principio di rieducazione della pena sostituitosi a un buonismo degenerato in anarchia. Un’anarchia che, come visto, trova conferma nei fatti e nei dati.

Nemes Sicari, 18 novembre 2023

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