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Ecco un buon modo per attirare l’attenzione

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Ero giovanissimo e ancora credevo – povero illuso – nel potere di convincimento e di persuasione delle parole, del ragionamento, delle argomentazioni. L’incantesimo (mi) fu spazzato via dal cinismo divertito e divertente di un regista televisivo americano, che, ben contento di stupire un ragazzo, mi spiegò le “regole”: “Vuoi sapere qual è la soglia di attenzione in tv? Dieci secondi se parli, venti secondi se piangi, trenta secondi se sanguini. Non di più”. E giù una risata.

Rimasi a bocca aperta, mi parve un’esagerazione autocompiaciuta, e invece – ovviamente – aveva ragione lui. E non c’era ancora Internet: con il tempo medio di lettura di qualunque contenuto online che adesso (tenetevi forte) oscilla tra i 9 e i 17 secondi. Giusto il tempo di uno sguardo a titolo e sottotitolo, e di mettere un like o un vaffa. Fine.

Badate bene: questo è il modo in cui funziona – oggi – il nostro cervello, la nostra disponibilità all’attenzione. È dunque fatale (inutile fare i moralisti) che tutta la comunicazione debba fare i conti con questa realtà: in tv, ricerca costante della semplicità e della brevità; sui giornali, titoli gridati e facilmente associabili a una “curva”; sui social network, inutile dirlo, la moneta cattiva del bullismo online che scaccia la moneta buona del dubbio, delle posizioni articolate e sfumate.

C’è una via di ritorno? No. E infatti tantissimi (comprensibilmente) scelgono di urlare, di incattivire la discussione, di colpire il nemico senza sosta e senza pietà. Non prendetela per “cattiveria”: a molti pare una necessità irrinunciabile, secondo le regole della comunicazione attuale. E non hanno torto…

Forse – ma rientro nel perimetro delle illusioni, chi può dirlo – esisterebbe un “attrezzo” alternativo (poco esplorato dai liberali classici, storicamente) che potrebbe essere “testato” come modo per strappare qualche istante in più di attenzione, e insieme per squarciare il velo trombonescamente solenne di alcune costruzioni mediatiche: la satira, l’ironia, l’umorismo.

Tante volte (si pensi all’Italia degli ultimi decenni) questo strumento è stato utilizzato da sinistra, in chiave faziosa e partigiana, solo come metodo di pestaggio degli avversari politici. Mi chiedo se non sia il caso di sperimentarlo in modo diverso: non da sinistra, non per picchiare, ma per stimolare curiosità e punti di vista spiazzanti e inattesi. Chissà se qualche editore o direttore ci rifletterà, prima o poi.

Daniele Capezzone, 1 ottobre 2018