Quest’anno il Pil italiano crescerà dell’1%, meno di quanto previsto dalla Nadef (+1,2%). Colpa di un quadro macroeconomico internazionale reso sempre più complesso dai maxi-tassi della Bce e dal protrarsi dei conflitti in Ucraina e a Gaza.
A cui si somma la crisi del canale di Suez, che fa da freno alla logistica delle merci e quindi all’export, con ovvie conseguenze sulla crescita. Senza contare le difficoltà della Germania, di cui fa le spese anche il made in Italy.
Insomma, la coperta dei nostri conti pubblici è molto corta ed è decisamente rovinata dalle ricadute del Superbonus, che ne divorano le fibre come fanno le tarme con la lana.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è comunque determinato a confermare per il prossimo anno il taglio del cuneo fiscale fino a 35mila euro. Non molto ma già questa misura costa 10 miliardi, che salgono a 20 miliardi se il governo sceglierà di rifinanziare tutti gli sgravi in vigore. A partire dalla rimodulazione degli scaglioni Irpef.
Difficile che Giorgia Meloni rinunci, visto che si tratta dell’abbozzo di quella riforma complessiva del fisco più volte promessa e tanto attesa da famiglie e imprese. Perché, come dimostra la curva di Laffer, ridurre le imposte alla fonte è l’unico modo per spingere i consumi e far ripartire l’economia, recuperando così anche il gettito complessivo.
Ecco perché Giorgetti non ha poi risparmiato nuove critiche al Superbonus, voluto dall’esecutivo di Giuseppe Conte. Un provvedimento, ha detto il numero uno del Tesoro, che sta avendo un “impatto devastante” sui conti pubblici. E che continuerà a rendere difficile fare investimenti per la crescita anche nei prossimi anni. Si tratta di 219 miliardi di crediti edilizi che, quando diventeranno forme di compensazione e quindi minori versamenti all’erario, si tradurranno in macerie.
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Insomma, un delirio per chi deve tenere in ordine i conti anche a causa dell’entrata in vigore del Patto di Stabilità Ue e della procedura di infrazione che i Paesi “frugali” hanno già minacciato al nostro Paese e ad altri del cosidetto “ClubMed”.
Da qui la centralità del Pnrr e l’urgenza che la Bce tagli i tassi almeno a giugno, zittendo i falchi del rigore che ancora vorrebbero fermare la già incerta mano di Christine Lagarde.
C’è però anche un segnale positivo: perché questo è un Def “leggero”, cioè con le sole previsioni tendenziali. In sostanza considera unicamente la legislazione vigente e rimanda le previsioni programmatiche a quando entreranno in vigore le nuove regole Ue sulla rendicontazione pubblica.
La decisione dovrebbe essere presa il 20 settembre, con un regime transitorio per l’anno in corso. In ogni caso il Documento di Economia e Finanza fissa la crescita all’1% del 2024 per un deficit\pil al 4,3% come già previsto dalla Nadef, ma il debito\Pil si aggrava al 137,8%. Nel 2025 l’economia della Penisola dovrebbe invece avanzare dell’1,2% e dell’1,1% l’anno successivo per un rapporto debito\Pil ancora in peggioramento rispettivamente al 138,9% e al 139,8%.
Come è noto una delle maggiori uscite per lo Stato è la spesa pensionistica. Non resta quindi che accelerare le liberalizzazioni e i cantieri del Pnrr per le grandi opere. Anche perché le difficoltà italiane si collocano in una economia internazionale che si sta sfaldando.
Proprio questa mattina l’agenzia Fitch ha declassato l’outlook, cioè il quadro prospettico, dell’economia cinese a negativo per i problemi che affliggono le sue finanze pubbliche dopo il crac del big immobiliare Evergrande. Piccata la risposta di Pechino che ha definito “deplorevole” la scelta di Fitch.
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