Autonomia differenziata: per porti e logistica sarà caos?

Federlogistica all’attacco chiede una programmazione centrale e denuncia la proliferazione di opere inutili

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Il presidente di Federlogistica, Luigi Merlo, parla di effetti potenzialmente devastanti su porti e logistica. Al di là delle opinioni o delle scelte di campo politiche, che la autonomia differenziata possa trasformarsi in un ginepraio per due comparti strategici come quello dei porti e delle aree destinate alla logistica, sembra essere davvero altissimo e quantomai concreto. Per altro sommandosi a due problemi paralleli altrettanto spinosi da risolvere: il mancato varo della riforma portuale e l’imminente ricerca di nove candidati alla presidenza dei porti italiani (inclusi quelli più importanti di Genova e Trieste.

Come detto, a far scattare il segnale di allarme, è stato il presidente di Federlogistica, Luigi Merlo che ha denunciato come già oggi la gestione di un settore che ha incidenza talora maggiore al 20% sul valore dei prodotti made in Italy, subisca le conseguenze di una normativa a dir poco contradditoria sulle competenze dello Stato centrale e quelle delle Regioni, con effetti fallimentari.

Aree logistiche come i funghi

Nel settore della logistica si assiste a una proliferazione di aree logistiche, senza programmazione e in assenza di una seria valutazione del mercato di riferimento. Nell’assenza di pianificazione; si trasformano quasi ovunque aree industriali e agricole in poli logistici, senza valutare alcune condizioni essenziali come i mercati di riferimento, il livello di infrastrutture, soprattutto ferroviarie, le valutazioni del mercato, le esigenze della portualità e quelle dell’e-commerce.
“Sul versante portuale – afferma Merlo- mentre si sottovalutano le opportunità derivanti anche dalla candidatura di molti porti pugliesi, siciliani e calabresi a diventare importanti hub logistici per gli impianti eolici, il pericolo maggiore si cela nell’implementazione della autonomia differenziata portuale. Già il titolo V ha mostrato di essere un pesante vincolo per lo sviluppo della portualità. A fronte di un mercato globale – sottolinea il Presidente di Federlogistica – che risente sempre più di fenomeni e decisioni di rilevanza mondiale, abbiamo infatti crescente bisogno di una politica portuale nazionale, non del ritorno ai localismi di vario genere”.

Porti in perenne conflitto normativo

L’assetto già precario dei porti sulle cui scelte incidono sei ministeri, con una burocrazia che rende impossibili gli interventi di manutenzione ordinaria (ad esempio i dragaggi) e con una proliferazione di gestioni commissariali, rischia di collassare. Se si considera il fallimento dei porti a gestione regionale ma anche la proliferazione di infrastrutture potenzialmente inutili, l’autonomia regionale che inevitabilmente traguarderà i 13-14 miliardi di euro che lo Stato incassa ogni anno da Iva e accise delle merci che transitano nei porti, potrebbe davvero trasformarsi in un clamoroso autogol.

E ciò accade in un momento in cui, con un Mediterraneo sull’orlo di una crisi di nervi, e con un processo di selezione naturale dei porti, localismi e campanilismi di singoli porti o di singole regioni, risultano a dir poco anacronistici.

“I porti di oggi – conclude Merlo – non sono neppure lontani parenti di quelli di vent’anni addietro: sono già, e diventeranno sempre più, luoghi di conoscenza, tecnologia e sicurezza, votati all’applicazione dell’intelligenza artificiale, alla cyber sicurezza, all’utilizzo dei droni subacquei a supporto delle attività di monitoraggio anche nell’ottica delle sfide imposte dal cambiamento climatico. Per questo occorrono una maggiore attenzione del Governo e la creazione di nuove strutture basate su modelli di indirizzo e supporto multidisciplinari. Tutti temi non decentrabili”.

Anche se il centralismo decisionale e una programmazione seria di infrastrutture e finanziamenti nei settori della logistica e dei porti dovranno comunque dimostrare sul campo che funzionano. Sino a oggi non è stato così.

 

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