Ogni prestito non risarcito, ogni finanziamento non rientrato, ogni mutuo non rimborsato, costituisce una falla nell’intero sistema creditizio nazionale. Per garantire la stabilità del sistema creditizio e dunque anche del sistema economico-finanziario è necessario tutelare il sistema dai cittadini o enti che, secondo alcune analisi, hanno o meno le capacità di fronteggiare il finanziamento. Sono diversi i fattori che vengono presi in esame dagli istituti creditizi, ma non più sufficienti per rilevare le informazioni necessarie per stabilire l’affidabilità del cliente. Da qui la necessità di sfruttare la soluzione digitale attraverso i footprint.
Allo stato attuale, qual è il metodo degli enti creditizi per valutare la solvibilità di un consumatore? Cosa sono i footprint? Qual è attualmente il valore del credito in Italia?
La valutazione del merito creditizio in Italia.
Il merito creditizio è la capacità del soggetto (debitore) di rimborsare a chi eroga il prestito (banca) la somma prestata, la cui valutazione è necessaria agli istituti di credito per verificare se il cliente sarà in grado di restituire la somma oggetto di prestito.
L’obbligatorietà della valutazione di affidabilità del potenziale debitore da parte degli istituti di credito è stata stabilita nel 2010 dall’accordo di Basilea 3 per tre importanti motivazioni: tutela dell’intero sistema bancario, tutela del cliente e tutela del mercato finanziario mondiale, mirando a contenere il rischio di sovraindebitamento nei mercati del credito, riconosciuto tra le cause più gravi di inefficienza allocativa.
Ma che cosa considera tradizionalmente la banca per valutare l’affidabilità di una persona o di una famiglia?
Nel caso di un consumatore privato gli elementi da analizzare sono meno numerosi dei crediti alle aziende, in quanto viene meno l’importanza data alla finalità del finanziamento, essendo legato al consumo e quindi comunque utile per l’economia. Secondo la Banca d’Italia sono 4 i tipi di informazioni più rilevanti per determinare il credit score: le caratteristiche del finanziamento inteso come durata e importo richiesto, informazioni sul cliente, ovvero il reddito che include quanto percepisce di stipendio o rendita fissa, informazioni sul bene da finanziare ed infine informazioni sul grado di indebitamento di chi richiede il prestito prelevate dalle Centrali dei Rischi
Il credit scoring è un processo trifasico: quando la banca riceve una richiesta di finanziamento procede preliminarmente ad acquisire una gran quantità di dati personali del cliente presso diverse banche dati che possono essere sia pubbliche (della Banca d’Italia) che private (Experian, Crif, Assilea e Consorzio Tutela Credito), profilazione attraverso l’analisi automatizzata dei dati rilevanti ed infine il processo decisionale automatizzato.
A porsi come baluardo per la tutela delle persone contro i processi decisionali automatizzati ci viene in soccorso il GDPR , ovvero il regolamento sulla protezione dei dati che rappresenta una contromisura alle preoccupazioni sulla privacy, ma allo stesso tempo può incentivarne l’uso, la raccolta e il commercio dei dati comportamentali degli utenti.
Nello specifico l’art. 22 del GDPR recita: “l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”.
Attenzione però, l’automatizzazione a volte può portare al rischio di discriminazione, ne è un esempio il caso Apple Pay in cui il New York State Department of Financial Services ha intrapreso un’indagine sui criteri di profilazione degli algoritmi utilizzati per concedere la linea di credito ai clienti. Si è verificata un’evidente e ampia discriminazione nei confronti delle donne. L’algoritmo assegnerebbe ai clienti di sesso femminile limiti massimi di credito anche di 20 volte inferiori rispetto ai clienti di sesso maschile, pur presentando lo stesso background economico, sociale e finanziario.
Cosa sono i footprint?
Nel corso degli ultimi anni, anche grazie a innovazioni tecnologiche senza precedenti, si è diffusa l’opinione generalmente riconosciuta riguardo l’incapacità dei metodi tradizionali di intercettare i bisogni dei consumatori che non possiedono una storia creditizia, o che non ne hanno una sufficientemente sviluppata per poter richiedere un prestito ed aver accesso a tariffe ragionevoli ed eque.
Sebbene i fattori analizzati tradizionalmente rimangano centrali nel sistema che si va sviluppando, l’industria del credito si prepara ad affrontare un rapido cambio di rotta verso metodi nuovi ed alternativi quali le “impronte” che più o meno consapevolmente seminiamo navigando nel web, impronte che vengono definite “digital footprint”. Non è necessario descriversi su un blog, commentare le proprie attività finanziarie o fornirle ai social networks, anche il semplice atto di accedere o registrarsi su un form di un sito fornisce importanti informazioni su noi stessi.
I footprint sono quindi tutte quelle informazioni che forniamo semplicemente connettendoci al web e rappresentano una preziosa risorsa di dati non strutturati che possono essere elaborati ed analizzati con un forte potere predittivo. Grazie all’utilizzo dei footprint è quindi possibile aiutare i consumatori non bancarizzati, che non avrebbero accesso ai servizi di credito, aumentando le loro possibilità di accedere ad un finanziamento. In Italia sono stimati in oltre 12 milioni i consumatori cosiddetti invisibili: privi, cioè, di una storia creditizia, per esempio giovani di età tra 18 e 25 anni, immigrati o soggetti che non hanno rapporti bancari e per questo impossibilitati a fare acquisti con pagamenti rateali o ricevere prestiti personali.
La mancanza di storia creditizia non è però necessariamente sinonimo d’inaffidabilità.
Di qui l’idea di business di Fido, fintech milanese che ha creato la prima innovativa piattaforma europea di digital credit risk scoring rivolta ad aumentare la capacità di valutazione dell’affidabilità dei consumatori la quale attraverso un algoritmo analizza le impronte digitali degli utenti come strumento complementare ai sistemi tradizionali.
L’utilizzo sempre più diffuso di internet rende disponibili molte informazioni sugli utenti che ne fanno uso, quali social network, dati sulla navigazione online, e-mail e sui device utilizzati. La novità di Fido sta nell’utilizzo di fonti dati e modelli di analisi del rischio alternativi volti a profilare meglio la clientela online nel rispetto della privacy.
Ciò che modifica profondamente lo scenario competitivo è l’aspetto legato alle informazioni sui clienti che gli intermediari Fintech riescono a raccogliere che profilano le abitudini della clientela per finalità di natura commerciale, migliorano le strategie di cross-selling e valutano il merito di credito.
Ma come può procedere una banca se non possiede le risorse, o le competenze, necessarie per acquisire ed analizzare i footprint? Ci sono tre possibili soluzioni perseguibili: quella di sviluppare una partnership con un fornitore IT, acquisire una o più FinTech; oppure sviluppare un’alleanza strategica con uno o più retailer, meglio se già cliente della banca.
Che tipo di dati vengono utilizzati nell’algoritmo?
Sono oltre 150 i segnali digitali (footprint) che possono essere rilevati. Qualche esempio dei dati che vengono utilizzati dalla piattaforma possono provenire dal numero di cellulare da cui si possono ricavare informazioni sul piano telefonico ed il proprio operatore (se è digitale oppure tradizionale) o se si trova in roaming o nel nostro paese. Da quale modello di dispositivo ci si collega alla rete (se è un vecchio cellulare o uno smartphone di ultimo modello) e capire qual è il valore economico attuale del dispositivo nel mercato, il sistema operativo che si utilizza (Ios o Android), cronologia dei pagamenti delle utenze.
Molte informazioni possono essere estratte anche dall’indirizzo di posta elettronica, si può capire se è associato ad un dominio gratuito (gmail, outlook) piuttosto che ad uno corporate quindi di una azienda, capire se quella mail è collegata a social network, dall’indirizzo IP invece si può rilevare se ci si sta connettendo da una linea residenziale piuttosto che da una linea business, se nell’indirizzo di posta elettronica ci sono nome e cognome è un indice positivo, mentre le presenza di numeri o l’assenza del nome possono rappresentare un punteggio negativo, l’età del dominio (più vecchio è, meglio è).
Poi, c’è il lato social. Se volete chiedere un prestito, a sorpresa, l’unico network davvero considerato dall’algoritmo è Linkedin: meglio esserci che non esserci. Trascurabile, secondo Marko Maras, CEO e co-founder di Fido, l’attività su Facebook o Twitter. Altre due curiosità che fornisce sono: meglio non riempire mai un form con tutti i caratteri maiuscoli (incide negativamente) né compilare una richiesta di prestito in piena notte. Anche l’orario in cui la si presenta può fare la differenza.
Tutte queste informazioni vengono processate da Fido in tempo reale e vengono utilizzate per alimentare l’algoritmo di machine learning che calcola poi la rischiosità del cliente finale che è naturalmente informato del rilascio dei dati e finalità alla quale viene richiesto un aggiornamento dei moduli sulla privacy.
A conferma della rilevanza ed affidabilità dei footprint a fine maggio l’annuncio di CRIF, specializzata in credit bureau e informazioni commerciali, riguardo l’ingresso nel capitale sociale di Fido. “L’investimento di CRIF in Fido conferma il nostro impegno nel semplificare la vita dei consumatori e delle PMI”, ha commentato Enrico Lodi, Managing Director, Digital Services di CRIF.
L’impatto sul credito in Italia del Covid
Secondo i dati riportati nel report “Banche e Istituzioni finanziarie – I trimestre 2021” pubblicato da Banca d’Italia a fine giugno e analizzati dagli esperti di Kìron mostrano che le famiglie italiane hanno ricevuto un mutui acquisto casa per 14.722 milioni di euro registrando una crescita del 29,2% rispetto allo stesso trimestre del 2020 per un controvalore di oltre 3.3 miliardi di euro.
I dati relativi alle erogazioni evidenziamo una crescita del 41,8% delle operazioni a supporto di un acquisto immobiliare mentre calano del 18,4% le operazioni di sostituzione e surroga; segno che il mercato sta tornando ad incentrarsi sulle operazioni di acquisto anche a fronte delle mutate esigenze della famiglia e dei cittadini in genere.
I dati sull’andamento del mercato del credito forniti da CRIF comprovano tale scenario. Lo scorso maggio c’è stata non solo la conferma del completo recupero delle richieste di finanziamenti da parte degli italiani rispetto ai volumi pre-Covid, ma è stata registrata una netta accelerazione del trend positivo in atto da alcuni mesi, +39,3% la domanda di mutui, +34,2% i prestiti.
Non solo: considerando il singolo mese, ha detto Simone Capecchi, executive director di CRIF, le richieste di mutui non risultano superiori solo a quelli del 2020, ma anche rispetto a quelli degli anni precedenti, a conferma della ritrovata fiducia degli italiani verso il progressivo ritorno a una situazione di normalità. La condizione d’incertezza che si respira ancora si è tradotta in una maggiore prudenza nello stipulare i contratti. Le famiglie italiane, infatti, continuano a privilegiare sempre di più i piani di rimborso più lunghi, al fine di non gravare troppo sui bilanci.
Secondo le statistiche fornite sempre da CRIF, il 79,2% delle richieste prevede una durata superiore ai 15 anni, con un valore della rata non eccessivamente impattante rispetto al reddito disponibile, per i mutui al di sotto dei 150.000 euro (che rappresentano il 70,7% del totale).
Più nel dettaglio, l’importo medio richiesto nel mese di maggio si è attestato a 139.109 euro, correggendo in lieve rialzo (+0,52%) rispetto al trend negativo con sui si era chiuso aprile (-1,6%).
La campagna vaccinale e le migliorate prospettive del mercato del lavoro hanno avuto importanti ricadute sulla pianificazione dei consumi. Una prova, spiega Capecchi, arriva anche dalla crescente propensione delle famiglie a far fronte ai propri impegni di spesa con un prestito.
Le richieste di finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni e servizi sono balzate del +31,3%. Andamento speculare per i prestiti personali, saliti del 38,7%. Altra conferma della ritrovata fiducia è data dalla crescita dell’importo medio dei finanziamenti richiesti, che si è attestato in maggio a 9.472 euro, in crescita (+9,8%) rispetto al valore di maggio 2020. Nello specifico dei prestiti finalizzati, l’importo medio richiesto si è attestato a 7.209 euro (+14,7% rispetto alla corrispondente rilevazione del 2020), mentre per i prestiti personali è risultato pari a 12.851 euro (+4,3%).
Se si guarda al tasso fisso, per un mutuo di 126.000 euro da restituire in 25 anni, il Taeg medio è passato dall’1,58% di gennaio 2020 all’1,24% di febbraio 2021. Qualcosa però sta cambiando tanto che, nelle ultime settimane, il tasso fisso è tornato a crescere; a marzo 2021 il Taeg medio è salito all’1,35%. Più stabile invece l’andamento del tasso variabile, calato nel 2020 e ancora oggi fermo su livelli minimi; per la simulazione sopra indicata, il Taeg medio è passato dall’1,08% rilevato a gennaio 2020 all’1,03% di marzo 2021. Torna quindi ad allargarsi la forbice tra tassi fissi e tassi variabili, che negli ultimi anni si era ridotta ai minimi.
Sempre secondo il report di CRIF in questi mesi è cresciuto anche il ricorso degli italiani ai prestiti con cessione del quinto, in un mercato attualmente favorito da tassi molto più bassi di quelli che solitamente vengono applicati ai prestiti personali (perché ha come sottostante la garanzia dello stipendio del lavoratore o la pensione).
Nel dettaglio, nel primo trimestre di quest’anno le richieste di questo tipo di finanziamenti sono cresciute dal 44% al 47% segnato nel corrispondente periodo del 2020. Per quanto riguarda i tassi, Banca d’Italia ha reso noto che nell’ultimo scorcio del 2020 i tassi medi di mercato delle cessioni si sono attestati al 7,49%, che si confrontano con una media applicata ai prestiti personali del 9,19%.
Qual è la situazione dei crediti deteriorati in Italia?
Secondo la Banca d’Italia sono 2 milioni e 700 mila tra famiglie e imprese che alla fine di giugno sarebbero stati colpiti dalla fine della moratoria sui finanziamenti deteriorati prorogata poi, dal governo tramite il Dl “Sostegni Bis”, al 31 dicembre 2021.
Dal 1°gennaio 2021 è entrata in vigore la nuova regolamentazione europea EBA (l’Autorità bancaria europea) per la definizione di default che le banche europee dovranno applicare alle posizioni dei loro clienti. La nuova definizione di default riguarda il modo in cui enti creditizi e banche dovranno valutare i loro clienti.
Le nuove regole impongono a una banca, di fronte ad un pagamento non saldato in cui basterebbe il mancato pagamento di 100 euro per un privato e di 500 euro per una impresa, per un periodo di oltre 90 giorni, di rischiare il blocco del rid e la segnalazione alla centrale rischi come “cattivo pagatore”. Ma la preoccupazione per quello che potrebbe accadere a causa di queste nuove regole riguarda ovviamente tutta Europa, considerando che in media le famiglie italiane sarebbero fra le meno indebitate in Europa (circa 20.000 euro in media, contro i 36,150 della Francia, i 37,785 della Germania, i 55.886 della Spagna e i 63.447 della Gran Bretagna).
In Italia ci sono crediti deteriorati per un valore di 340 miliardi, i quali, secondo le previsioni di Banca d’Italia, aumenteranno di un centinaio di miliardi nei prossimi due anni: Banca Ifis, operatore specializzato nel settore, ha stimato un aumento fino a 120 miliardi nel biennio al 2022, come naturale effetto del 2020 pandemico
Conclusioni
Le sfide poste dalla crescente digitalizzazione ai consulenti finanziari e istituti bancari possono ricondursi al conseguimento di tre obiettivi principali: garantire la sicurezza, mantenere la trasparenza e la correttezza nei confronti dei consumatori e continuare a promuovere l’innovazione.
Potranno ricavare rilevanti vantaggi competitivi grazie al possesso ed alla capacità di trattamento dei dati digitali e di nuove metodologie rafforzando anche la capacità degli intermediari di valutare la rischiosità dei richiedenti del credito, soprattutto di quelli per i quali le fonti tradizionali forniscono informazioni limitate o lacunose portando inclusione tra chi prima non poteva accedere al credito e benefici non solo alla banca ma all’intero sistema economico.
Concludendo, salvandoci dalla “dittatura dell’algoritmo” saremo ugualmente motivati a comportarci meglio? I footprint potranno contribuire ad un sistema finanziario stabile e quindi anche ad una economia più stabile? L’integrazione tra queste nuove tecnologie e l’intervento umano e relazionale ritengo possano essere la soluzione per raggiungere questo obiettivo.
Deborah Ullasci