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E se le banche centrali aumentassero i tassi prima del previsto?

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Le principali banche centrali del mondo, vale a dire la Federal Reserve americana, la Banca Centrale Europea e la Bank of England, solo per citarne tre, hanno ripetutamente dichiarato che aumenteranno i tassi di interesse solo dopo la fine dei loro quantitative easing, cioè degli acquisti di titoli sul mercato che servono per tenere bassi i loro rendimenti.

Però l’inflazione sta aumentando in maniera molto rapida nelle principali economie mondiali. In particolare negli Stati Uniti, in Cina e in Germania, soprattutto per quanto riguarda i prezzi all’ingrosso, i costi dell’energia raddoppiano, quelli dei semilavorati industriali (compresa la chimica) crescono di diverse decine di punti percentuali e, circostanza persino sorprendente, negli Stati Uniti si alza a doppia cifra anche il costo dei veicoli usati.

Quest’ultimo dato è particolarmente interessante, perché non si tratta di inflazione generata dalla strozzatura della catena di approvvigionamento mondiale, a sua volta scaturita dall’infelice combinazione di lockdown ed eccessiva ottimizzazione dei processi logistici avvenuta nell’ultimo ventennio, tesa a minimizzare i costi di magazzino in un mercato che la globalizzazione ha reso estremamente concorrenziale.

L’aumento dei prezzi delle auto usate deriva certamente dalle prime difficoltà di consegna dei veicoli nuovi, ma non sempre un mezzo di trasporto nuovo è fungibile con uno già usato. SI tratta invece di un vero e proprio surriscaldamento del commercio, per utilizzare un termine caro agli economisti, e un fenomeno del genere si combatte aumentando il costo del denaro.

Per quale motivo? Semplicemente perché l’inflazione da surriscaldamento è generata dall’eccessiva fretta con cui si effettuano degli acquisti che, almeno in teoria, potrebbero essere posticipati nel tempo. Inoltre i grossisti fanno incetta di beni perché ritengono che il loro prezzo sia destinato perlopiù ad aumentare nei mesi successivi.

Tutto questo volume di acquisti affrettati a speculativi richiede un’ingente dose di denaro, ovvero credito bancario e utilizzo della liquidità aziendale. Aumentare il costo dei fidi e il rendimento dei più tranquilli titoli obbligazionari su cui investire sarebbe un modo per iniziare a dissuadere coloro che in questo momento trovano molto redditizio fare incetta di beni a puro scopo speculativo. Ma per fare questo è necessario aumentare i tassi di interesse.

Quasi tutte le banche centrali continuano a ripetere che l’inflazione sarà temporanea, tranne nel caso della Fed, il cui riconfermato presidente, Jerome Powell, solo da pochi giorni ha ammesso che il termine “temporaneo”, rischia di non essere più adeguato all’inflazione americana.

Gli altri istituti centrali, per il momento, proseguono nella loro dialettica, pur sapendo benissimo che l’aumento dei prezzi non sarà passeggero. Lo fanno perché temono che un restringimento troppo veloce della politica monetaria potrebbe spaventare i mercati e rompere il giocattolo che si sta faticosamente cercando di ricostruire, ovvero la fiducia nell’economia e la voglia di investire.

Ma ora le regole del gioco rischiano di cambiare, perché quando i mercati esagerano bisogna avere il coraggio di farsi sentire. E a questo punto una possibile mossa di politica monetaria sarebbe quella di anticipare l’aumento dei tassi di interesse, prolungando al contempo gli acquisti di titoli obbligazionari sul mercato, pur diminuendoli, dichiarando anche che non esiste un vero e proprio termine per la conclusione di questi acquisti, perlomeno nel breve periodo.

In questo modo gli acquisti di obbligazioni non sarebbero più uno strumento per tenere bassi i tassi di interesse a qualunque costo, visto che le banche centrali per prime inizierebbero ad aumentarli. Sarebbe invece un modo per pilotare (altro termine amato dagli economisti) il livello dei rendimenti di mercato, soprattutto di quelli a lunga scadenza, sul sentiero desiderato, Vale a dire per evitare che sui mercati obbligazionari i tassi di interesse aumentino troppo.

Questa politica non ha nulla a che vedere con le richieste dei banchieri del Nord Europa di accelerare la fine degli aiuti monetari da parte della Bce. Quello rimane puro e semplice fanatismo monetario. Si tratterebbe invece di un intervento di emergenza per risolvere un problema vero, ovvero l’uso del credito per il motivo sbagliato, cioè per la speculazione merceologica invece che per gli investimenti industriali. Anche aumentando il costo del denaro, di liquidità ne rimarrebbe in giro ancora fin troppa e sarebbe comunque garantita dalla prosecuzione dei vari quantitative easing.

Questa sarà la settimana delle riunioni di politica monetaria di Fed, Bce e Bank of England. Probabilmente nelle dichiarazioni ufficiali dei loro presidenti non si parlerà dell’argomento, ma potrebbe arrivare qualche quesito sul tema da parte dei giornalisti partecipanti alle conferenze stampa.

Massimo Intropido, 11 dicembre 2021