La sharing economy
Dopo i trasporti tra privati (Uber e BlaBlaCar), il turismo (AirBnB), la musica (Spotify) il mondo della finanza è uno dei settori cardine della sharing economy e della trasformazione digitale.
Per sharing economy, nota anche come economia collaborativa o della condivisione, si intende un modello economico caratterizzato dal fatto che le attività sono facilitate da piattaforme digitali che mettono direttamente in contatto gli individui per fornire, scambiare o condividere beni, servizi, competenze, denaro, spazi e risorse di vario genere, che altrimenti resterebbero inutilizzate o sottoutilizzate, quindi basate sul riuso e condivisione piuttosto che sull’acquisto e proprietà.
Ci fornisce un’ulteriore definizione anche la comunicazione della Commissione del 2 giugno 2016 COM(2016) 356 secondo cui l’espressione “economia collaborativa” si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. La sharing economy prevede quindi che imprese, istituzioni e cittadini mettano a disposizione il loro know-how in un’ottica di creazione di reti virtuose relazionali e produttive. Una sorta di economia collaborativa che può essere applicata anche ai servizi finanziari ed in particolare del credito con l’obiettivo di rendere più efficiente l’incontro tra domanda ed offerta di finanziamento: la finanza collaborativa.
Finanza collaborativa
La finanza collaborativa è dunque l’insieme dei servizi di finanziamento, prestiti, investimenti offerti al di fuori delle istituzioni finanziarie tradizionali che prevede uno scambio tra la domanda di fondi (da parte di individui singoli o di imprese) e l’offerta (persone disposte ad offrire risorse), che opera attraverso piattaforme digitali.
Si tratta di nuovi strumenti finanziari che permettono ai singoli individui di scegliere direttamente a chi destinare un prestito o un finanziamento, diversamente da come avviene nei casi di intermediazione di un’istituzione finanziaria classica. Il fenomeno non è ancora noto al grande pubblico se si considera che, stando alle ultime statistiche, il settore della finanza extra bancaria non supera l’8% seppure sia in forte crescita.
Le tipologie di finanza collaborativa vanno dal crowdfunding al crowd-sourced equity, dal lending peer-to-peer ai mini-bond legati PMI e ai pagamenti in valuta alternativa (es. Sardex) superando l’intermediazione bancaria. Due gli strumenti di principali interesse: il Crowdfunding e i prestiti Peer to Peer.
Il Crowdfunding
Secondo la definizione della European Banking Authority (EBA) il crowdfunding consiste nella richiesta al pubblico di finanziamenti, tipicamente per mezzo di una piattaforma on-line, da parte di soggetti che necessitano di fondi per sviluppare progetti o per scopi personali. La piattaforma on-line facilita l’incontro tra i soggetti che richiedono fondi (tipicamente individui, imprese, associazioni senza scopo di lucro) e coloro che sono disposti a finanziare i progetti.
In modo particolare, è una tipologia di micro-finanziamento che proviene “dal basso”, ossia dalle singole persone che insieme compongono un folto gruppo (in inglese Crowd), che decide di contribuire con del denaro per dar vita a una nuova startup o per vedere realizzata l’idea innovativa di un’altra persona. In cambio, ciò che viene messo a disposizione sono quote dell’impresa nascente oppure altre forme di ricompensa e premi.
I vantaggi consistono, in sintesi, per i richiedenti nella rapidità di valutazione della richiesta (tipicamente 24 ore) e, se positiva, nell’ottenimento dei fondi (massimo 72 ore). Per i prestatori, nella possibilità di ottenere tassi d’interesse (compreso tra il 4 e il 10%) superiori alle forme di investimento tradizionali, pur investendo somme relativamente contenute (anche poche migliaia di euro).
Fabrizio Villani nel suo libro “#Fintech expert” ci spiega come il crowdfunding sia stato in grado di “democratizzare” la finanza in quanto fasce di popolazione e di imprenditori prima parzialmente escluse dall’accesso a capitali, come le minoranze etniche, i giovani e le donne, hanno trovato nel crowdfunding la possibilità di poter accedere a risorse di cui altrimenti non avrebbero potuto beneficiare.
Prestiti Peer to Peer (Social lending)
Sono prestiti tra privati (definito Peer to Business per le imprese). Con questa soluzione anche i privati possono erogare credito ad altri privati attraverso piattaforme di social lending, senza passare attraverso i canali tradizionali rappresentati dagli intermediari finanziari autorizzati ai sensi dell’art. 106 del Testo Unico Bancario: banche, società finanziarie, ecc.
Viene adottata dalle persone o dalle imprese che richiedono un prestito di denaro, le quali, a causa delle stringenti regole bancarie di erogazione del credito (cosiddetto credit crunch) e a causa di un sistema di rating creditizio penalizzante, per chi non ha un track record di lungo termine, diventano impossibilitate a realizzare i loro progetti ma trovano soluzione rivolgendosi a queste piattaforme di prestiti tra privati per reperire le risorse necessarie.
Il richiedente invia una domanda di finanziamento con tutti i documenti che servono per assegnargli un rating, una valutazione sulla propria solvibilità con il relativo rischio: se l’assegnazione viene accettata dal richiedente, la domanda viene pubblicata all’interno della piattaforma e può essere finanziata. I prestatori registrati sulla piattaforma decidono se e quanto finanziare.
Quando la cifra verrà raggiunta, verrà erogato il prestito e il richiedente restituirà a rate con un piano condiviso che prevede interessi proporzionali al livello di rischio assegnato al momento di accettazione della domanda. L’identità di richiedente e prestatori è gestita dalla piattaforma. In caso di ritardi o interruzioni nei rimborsi, la piattaforma svolge anche ruolo recupero crediti.
Quest’idea di “disintermediare” i prestiti personali è totalmente “disruptive” per gli intermediari finanziari tradizionali. Le piattaforme di prestiti tra privati sono nate per agevolare l’imprenditorialità e lo sviluppo di idee innovative che strette nella maglia del sistema vigente non avrebbero probabilmente mai potuto vedere la luce.
Tutto ciò è reso possibile dalla riduzione dei costi, poiché il prestatore e il richiedente sono messi in relazione diretta, inoltre in virtù dell’elevata automatizzazione dei servizi, queste piattaforme sono più competitive delle banche tradizionali. Questo mercato è in continua evoluzione, e ad oggi alcuni tipi di prestiti prevedono garanzie a protezione del prestatore contro il rischio di fallimento del debitore chiamate “buyback guarantee”, “rientro rapido” dell’investimento e cessione del credito sul mercato secondario.
Flexcore, una piattaforma di personal finance americana, per esempio, permette di comparare la propria situazione finanziaria, sfruttando anche i consigli degli esperti. Aggiungendo questi strumenti al servizio, il cliente ha elementi in più per capire come gestire il proprio denaro, per analizzare le informazioni che trova sul sito, mentre la piattaforma può monitorarne le sue abitudini, gli umori, e le sue necessità nel corso del tempo.
In Italia tra le più conosciute piattaforme abbiamo Criptalia, Smartik, Soisy. Quest’ultima in particolare si è distinta per il doppio servizio che offre, permettendo di acquistare online e pagando a rate rendendolo, di fatto, un prestito al consumo, e permettendo, tramite la piattaforma, agli investitori di finanziare quei prestiti per ottenere un rendimento. Tramite questo modello di business quindi non agisce come una banca ma come un semplicemente intermediario digitale affidando il ruolo di “banca” agli investitori.
I sottoscrittori percepiscono tassi di interesse medi del 9% mentre se si usufruisce del servizio di “Garanzia di Rendimento” si rinuncia a un parte dei ritorni, per alimentare un fondo che verrà usato come una sorta di salvadanio se uno dei prestiti non venisse rimborsato. È un modo per abbattere i rischi, che ovviamente dà un rendimento inferiore ma pur sempre al di sopra di quelli di mercato.
Conclusioni
Considerando che in Italia il tessuto imprenditoriale è composto per la maggior parte da piccole e medie imprese e il sistema bancario andrà sempre più a lavorare su una fascia d’imprese medio, medio-grandi e grandi è chiaro che il Fintech possa rappresentare un supporto complementare ed innovativo al sistema creditizio piuttosto che entrarne in competizione.
Camilla Cionini-Visani, direttore generale di ItaliaFintech ha recentemente dichiarato: “Sta agli operatori riuscire a crescere velocemente e a fare da consolidatori, attirando investitori e spingendo nuove partnership con il mondo bancario tradizionale. Contando sul supporto anche dei regolatori. Affinché questo settore, ad alto valore aggiunto, che attrae giovani qualificati e offre posti di lavoro, possa diventare sempre più significativo anche nell’economia complessiva del Paese”.
Con l’espandersi del fenomeno inoltre emergono con sempre maggiore frequenza e criticità talune questioni relative all’applicazione del quadro normativo vigente dal momento che rende meno nette le distinzioni tra consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, o la prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale. Ad ogni modo il futuro della sharing economy è ancora tutto da scrivere ed i prossimi anni saranno cruciali per capire che cosa accadrà, restiamo quindi sintonizzati!
Deborah Ullasci