Il Monte Paschi non si tocca, deve restare autonomo. Dopo l’appello del mondo produttivo sono gli stessi bancari ad alzare il muro attorno alla banca senese, ormai risanata e rilanciata, per cui il ministero dell’Economia sta cercando da tempo uno sposo.
A guidare il fronte del no è il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni, che rappresenta il primo sindacato del settore del credito sia per numero di iscritti sia per forza e capacità “politica”.
Sta per partire una nuova stagione di aggregazioni tra le banche del nostro Paese, ha detto ieri Sileoni dal palco del 128mo consiglio nazionale della Fabi, indicando la Vigilanza della Bce come vero regista del consolidamento che interesserà il sistema del credito.
La Banca centrale europea, ha proseguito il numero uno della Fabi, ha una “precisa strategia” per far diminuire di numero i grandi gruppi bancari del vecchio continente, appunto spingendoli ad aggregarsi con la sua moral suasion.
Obiettivo dell’Eurotower è tenere sotto controllo il rischio del credito. A conti fatti il consolidamento, ha rimarcato Sileoni, farà però accrescere ancora di più il potere decisionale già oggi “straripante” della Bce sui prestiti alle famiglie e alle imprese.
Non solo, la nascita del terzo polo bancario alle spalle di Intesa Sanpaolo e Unicredit, schiaccerebbe inesorabilmente le piccole banche. E quindi finirebbe per incidere sulla stessa flessibilità dei prestiti concessi alle piccole e medie imprese del territorio, che per tradizione lavorano in simbiosi con gli istituti locali.
E’ stato, infatti, proprio l’ossessivo rialzo ai tassi di interesse da parte dell’Eurotower nel tentativo di spegnere l’inflazione, a strozzare le aziende del made in Italy fino al rischio di un credit crunch e a rendere quasi impossibile per 200mila famiglie pagare le rate del mutuo sulla casa.
Un chiaro monito, quello lanciato della Fabi, al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha da poco venduto sul mercato il primo 25% del Monte Paschi, nell’ambito di un pacchetto di privatizzazioni utile anche per fare cassa in vista della prossima manovra di bilancio e delle pagelle delle agenzie di rating sul nostro debito sovrano.
La discesa in Mps ha finora fruttato 920 milioni alle casse pubbliche. Una consolazione modesta rispetto ai sette miliardi versati dai contribuenti il suo salvataggio, ma è anche vero che una banca risanata può diventare una leva per la crescita del Pil.
Le candidate a sedersi al tavolo del risiko insieme a Monte Paschi sono Banco Bpm e Bper, che però al momento si dicono indisponibili perché impegnate la prima in un piano di crescita in solitaria e la seconda a digerire l’avvenuta acquisizione-salvataggio di Carige. Unicredit, che si era fidanzata con il Monte Paschi per poi abbandonarla all’altare, preferisce invece guardare ad acquisizioni mirate nel centro Europa.
Simile la preoccupazione espressa a dicembre da Unimpresa, che rappresenta gli interessi delle pmi. La fusione di Mps con uno degli altri big nazionali italiani rafforzerebbe ancora di più un singolo gruppo “con consequenziali danni” alla clientela, aveva detto a fine dicembre la presidente Giovanna Ferrara, sottolineando la necessità di “evitare un’eccessiva concentrazione del settore”.
Non può, poi, sfuggire il sapore delle parole che Sileoni ha voluto tributare a Carlo Messina davanti al vertice della Fabi, quindi ai suoi “grandi elettori”. Il sidacalista ha infatti raccontato come lo stallo degli stipendi dei bancari nella tempesta perfetta dell’inflazione si sia risolto dopo un suo faccia a faccia con l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo.
Per approfondire leggi anche il maxi-aumento da 435 euro mensili strappato dai bancari mentre la Cgil di Maurizio Landini perdeva tempo a scioperare.
Una sorta di entente cordiale, nella difesa dei rispettivi interessi, della prima banca italiana per sportelli e addetti con il principale sindacato del settore, che ha finito per “guidare” il tavolo delle trattative sul contratto nazionale. Di fatto trascinando alla firma gli altri soci dell’Abi presieduta da Antonio Patuelli, dove invece persisteva un vivace confronto internoi. La “triplice” Fisac-Cgil, First Cisl e Uilca è avvertita.
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