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IL DIRITTO ALLA SALUTE NON VA TUTELATO. VA RADDOPPIATO!

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IL DIRITTO ALLA SALUTE NON VA TUTELATO. VA RADDOPPIATO! Il 2005 è stato l’anno in cui ha visto la luce, dopo molti anni di dispute, la legge quadro che ha regolamentato e tentato di diffondere (con risultati ancora non soddisfacenti) la previdenza integrativa.

A quasi 15 anni di distanza – e mai come oggi –  rimane trascurato e privo di un organico disegno divulgativo un altro tema altrettanto rovente e sempre più rilevante: la sanità integrativa.

Procediamo con ordine analizzando prima la situazione attuale del sistema sanitario pubblico, successivamente le soluzioni a disposizione per dare risposte alle falle presenti.

Partiamo con una considerazione di natura costituzionale. L’art. 32 della nostra Carta tutela la salute come principio fondamentale dell’individuo, garantendo cure gratuite agli indigenti. Nel sistema vigente, il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) è il mezzo attraverso il quale tale diritto si concretizza.

Nel corso del tempo le cose sono cambiate. Da un lato c’è il cambiamento demografico, fatto di allungamento della vita media ma anche di inevitabili, nuove e più complesse patologie che subentrano soprattutto in tarda età; dall’altro lato troviamo invece un sempre più precario equilibrio di finanza pubblica, che di conseguenza alimenta le perplessità su quanto a lungo il welfare pubblico possa continuare a soddisfare il diritto alla salute senza ribaltare oneri insostenibili sulle future generazioni.

Peraltro, tali dubbi sono fondati su aspetti oggettivi. Già oggi, infatti, le prestazioni sanitarie pubbliche sono insufficienti alla domanda dei richiedenti, stimolando così due scenari diversi: la nascita di un sistema sanitario privatistico (ancora largamente sconosciuto ai più) e, soprattutto, la disponibilità – o sarebbe meglio dire rassegnazione – di molti ad intaccare il bilancio famigliare per soddisfare la prestazione richiesta.

I numeri, in tal senso, parlano chiaro: in questa prima immagine si vedono le fonti di finanziamento della spesa sanitaria in Italia (fonte IX Rapporto Welfare RBM – Censis, 2019).

IL DIRITTO ALLA SALUTE NON VA TUTELATO. VA RADDOPPIATO!

 

A fronte di una spesa pubblica che, seppur di meno rispetto ad altri periodi storici continua ad aumentare (quasi 120 miliardi di euro l’anno, scala a destra) fa da contraltare una spesa “out of pocket” in continua e rapida ascesa (superati i 40 miliardi di euro l’anno, scala a sinistra). Si nota inoltre come le voci che più si sono appesantite riguardano le spese per l’assistenza domiciliare e per i farmaci, coerentemente con quanto è lecito attendersi in un quadro di longevità più marcata.

Questo comportamento, sempre più ricorrente come si evince dai dati, accentua tuttavia la disuguaglianza tra cittadini ed implicitamente fa venir meno quel criterio di universalità che la Carta Costituzionale sancisce. Si verificano inoltre crescenti disparità a livello territoriale, con il conseguente fenomeno di “migrazione sanitaria” per chi può permettersi di sostenere la spesa, ed il ben peggiore effetto di rinuncia alla cura per un numero sempre più significativo di casi. Anche in questo caso, i numeri sono impietosi.

 

Rinunciano a curarsi soprattutto i residenti nel Mezzogiorno (48,8%) ed i percettori di redditi più bassi (33,8%); chi invece riesce a sostenere personalmente l’onere per la prestazione sanitaria lo fa intaccando il patrimonio (61,9%), indebitandosi (10,5%) o chiedendo un aiuto ai famigliari (5,8%).

Se il quadro appena delineato è per molti versi sconfortante, è altrettanto vero che le soluzioni esistono. Purtroppo, sono sconosciute: tra il 2013 ed il 2018 la spesa sanitaria privata è aumentata del 9,9%, quella nel pilastro sanitario integrativo dello 0,5%! Ecco allora che bisogna imparare a conoscerle per essere in grado di valutarne l’utilità con la giusta consapevolezza.

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Andrea Rocco