Il ministero dell’Economia resterà nel capitale del Monte dei Paschi per fare da innesco al terzo polo bancario del nostro Paese alle spalle di Intesa Sanpaolo che è guidata da Carlo Messina e di Unicredit, che con Andrea Orcel è da poco partita alla scalata della tedesca Commerzbank tra l’opposizione del governo di Olaf Scholz e del sindacato Ver.di.
Ad annunciare la mezza retromarcia su Siena è stato lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti. Gli accordi iniziali sottoscritti con Bruxelles, a fronte degli aiuti di Stato miliardari con cui Mps è stato prima salvato e poi rilanciato fino a diventare l’odierna banca che macina utili sotto la guida dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio, prevedevano che il Tesoro dovesse vendere tutto entro la fine di quest’anno anno.
L’impianto con la Concorrenza di Marghrete Vestager è stato però poi rivisto. In base all’ultimo omissis appena reso noto, ma previsto nell’ultimo aumento di capitale da 2,5 miliardi, Giorgetti nelle prossime settimane venderà quindi una terza tranche di Mps, ma non dirà addio a Siena. Si pensa che a finire sul mercato potrebbe essere tra l’8 e il 12% di Monte Paschi.
Il Mef manterrà quindi una quota nel Monte, di cui ad oggi resta il maggiore azionista con il 26,7%, per presidio strategico. Un fortino che richiama quello da cui Berlino, che possiede il 12% di Commerzbank dopo il salvataggio e la successiva nuova privatizzazione, alza il muro contro la proposta di nozze avanzata da Unicredit definendola un “atto ostile.
Restando a metà strada il Tesoro:
- farà cassa con la vendita di una terza quota, dopo gli 1,57 miliardi già incassati a novembre del 2023 e a marzo di quest’anno, in vista degli impegni di bilancio che saranno presi con la prossima Manovra, a partire dalla discesa del deficit pil sotto la soglia del 3% per disinnescare la procedura di infrazione avviata dalla Ue;
- potrà presidiare il futuro di Mps per accasarla al meglio in Italia.
Procedere con le privatizzazioni è infatti inevitabile e già tra questo autunno e l’inverno dovrebbe andare sul mercato oltre a Mps anche un’altra tranche di Poste Italiane, di cui il Mef controlla oggi circa il 64% tra quote dirette e indirette tramite Cassa depositi e Prestiti. Già scelti anche gli advisor: sono Ubs per la parte finanziaria e lo studio White & Case per quella legale.
Mantenere la promessa del taglio del cuneo e di ridurre da tre a due le aliquote Irpef costa infatti alle casse dello Stato quasi 15 miliardi, a cui aggiungerne altri 3-4 miliardi per estendere i benefici fino a 60mila euro di reddito, contro gli attuali 50mila. Resta da capire quali saranno le tax expenditures fiscali che, per contro, spariranno.
Giorgetti ha definito “la ciliegina sulla torta” il prossimo collocamento di Mps dopo il successo riscosso dalle prime due tranche. D’altronde se l’attacco di Unicredit a Commerz andrà a buon fine, come tutto lascia pensare, aprirà il tavolo del risiko bancario europeo.
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A quel punto sono virtualmente scalabili quasi tutte le banche del nostro Paese, dove le Fondazioni bancarie hanno ormai quote residuali per norma di legge, e lo stesso varrebbe per Generali, che oggi vede Mediobanca come primo socio con il 13% del capitale davanti al gruppo Caltagirone e agli eredi di Leonardo Del Vecchio.
In caso di avanzata delle banche straniere non ci sarebbe a quel punto golden power che tenga, anche perché è la stessa Bce a spingere per la nascita di gruppi creditizi di scala continentale affinché siano in grado di fronteggiare i big americani e cinesi.
Da qui quindi probabilmente la scelta del Tesoro di presidiare Mps ancora un po’ e incassare i prossimi dividendi. In attesa che qualcuno, tra Bper e Banco Bpm, accetti l’offerta di fidanzamento.
Bper, controllata da Unipol, è attualmente impegnata a integrare Carige dopo averla salvata; Banco Bpm dice di voler crescere da sola ma ha i francesi del Credit Agricole come primi azionisti con il 9% a presidio di un solido accordo di bancassurance. Credit Agricole anni fa ottenne Cariparma dalla vecchia Intesa Bci, di cui era grande socio, in cambio del via libera alla fusione con l’allora San Paolo-Imi. Il copione si ripete.