Il Monte dei Paschi è ufficialmente in vendita: il ministero dell’Economia, primo socio della banca senese con una quota prossima al 64%, ha avviato la selezione degli advisor che dovranno seguirne la privatizzazione. Un percorso complesso, in vista del quale il Tesoro si è tenuto le mani libere. La vendita, come stabiliva già un decreto dell’ottobre 2020, potrà infatti avvenire “in una o più fasi” e contemplando tre opzioni: una offerta pubblica di vendita rivolta agli istituzionali così come ai piccoli risparmiatori (dipendenti di Mps compresi), oppure con una trattativa diretta o ancora accompagnando la banca all’altare per una fusione. A dire il vero, proprio l’integrazione con un partner resterebbe la via preferita per il dicastero di via XX Settembre, che aveva già tentato di accasare Monte Paschi con Unicredit, salvo poi vedere il promesso sposo ritrarsi.
Ma perchè il governo ha rotto gli indugi proprio in questi giorni? Due i motivi cardine:
- il primo, politico, è di inviare alle agenzie di rating un segnale sulla determinazione cui intende completare un ulteriore ciclo di privatizzazioni in vista della Manovra di bilancio, così da erigere un argine al debito pubblico insieme al successo di collocamenti come quello del nuovo Btp Valore
- il secondo, strategico, è di costringere a venire allo scoperto eventuali pretendenti e, in caso positivo, avviare il cantiere da cui potrebbe sorgere il terzo polo bancario italiano dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Il Tesoro specifica di voler puntare alla “piena valorizzazione” della propria partecipazione in Mps, così da fare il miglior interesse di tutti. Monte Paschi, dopo aver perso oltre 20 miliardi nell’arco di un decennio, grazie al rilancio completato dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio, è ora una banca solida dal punto di vista patrimoniale (il Tier One è prossimo al 15%), che punta a macinare un miliardo di profitti a fine anno e che è pronta a tornare a distribuire il dividendo. Malgrado questo, difficilmente i contribuenti recupereranno per intero il costo del salvataggio: circa 7 miliardi, considerando la ricapitalizzazione precauzionale del 2017 di cui 5,4 miliardi versati dallo Stato, cioè da tutti noi, e poi altri 1,6 miliardi per la ricapitalizzazione lanciata dal 2022 (sui 2,5 miliardi complessivi). Nel momento in cui scriviamo infatti Monte Paschi ha una capitalizzazione di Borsa di 3,21 miliardi; quindi l’intero pacchetto del 64% in mano al Tesoro vale, secondo il mercato, poco più di 2 miliardi. A cui aggiungere il premio di maggioranza, ma resta una magra consolazione.
In linea teorica il Tesoro, grazie all’ultima proroga strappata a Bruxelles, ha tempo per completare la vendita fino al prossimo anno, ma l’avvio della selezione degli advisor segue di pochi giorni le opposte visioni sull’urgenza del dossier espresse da Lega e Forza Italia. Se verrà scelto un percorso a tappe per la privatizzazione, il Mef potrà comunque cedere fino al 14% senza perdere la maggioranza assoluta della banca di Rocca Salimbeni e quindi restando nella cabina di regia della privatizzazione. Con l’obiettivo di dare vita appunto a un terzo polo del credito; resta da capire però con quale partner. Banco Bpm, considerato dagli analisti il candidato ideale, ha infatti più volte chiuso la porta e Bper sembra proiettata verso la Popolare di Sondrio, visto che Unipol è primo azionista di entrambe. Senza contare che la guerra scoppiata in Israele, destinata ad alimentare la volatilità delle Borse insieme al conflitto in Ucraina, non può che aggiungere un ulteriore ostacolo a scrivere i concambi di una fusione che non potrà che essere carta contro carta, cioè basata su scambi azionari.