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Popolare di Vicenza: arrivano le condanne

Si riaprono le ferite sui fallimenti. Intanto MPS perde altri 1,689 miliardi

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Dopo due anni arriva a compimento il percorso fallimentare della Popolare di Vicenza. Il fallimento della banca di Zonin, avvenuto contemporaneamente a quello di Veneto Banca, ha creato non poche angosce alla popolazione locale, soprattutto imprenditori che erano possessori di pacchetti azionari dei due istituti veneti.

Leggendo le sentenze al termine di un processo durato più di due anni, come citano le agenzie, il giudice Debora De Stefani ha reso pubbliche le condanne per l’ex presidente Gianni Zonin a sei anni e mezzo di carcere; per l’ex dirigente Emanuele Giustini,  a sei anni e tre mesi di reclusione, e per gli ex dirigenti Paolo Marin e Andrea Piazzetta entrambi condannati a sei anni di reclusione.

L’azione giudiziaria era partita a seguito delle denunce degli azionisti, che accusavano i dirigenti della banca di aver gonfiato in modo fraudolento i prezzi delle azioni, fuorviando gli investitori sulla solidità finanziaria del gruppo.

Il crack delle due banche del Nord Est ha fatto seguito a quelli di CariChieti, CariFerrara, BancaMarche e Popolare Dell’Etruria, fallimenti che hanno fatto tremare i polsi all’intera popolazione italiana, soprattutto a causa del coinvolgimento di altri istituti importanti come Carige e soprattutto MontePaschi.

Queste ultime due, tra l’altro, non sono ancora uscite dal pantano in cui sono precipitate.

La banca di Siena ha chiuso l’esercizio del 2020 con perdite consolidate di pertinenza della capogruppo per 1.689 milioni, peggiorando il dato di 1 miliardo di perdite del 2019. MPS continua a registrare bilanci in rosso, senza soluzione di continuità, dal 2011 in avanti, in pratica da dieci anni,  lasciando per strada ben 23 miliardi di euro.

Proprio su MPS è di un paio di giorni fa la notizia che i revisori di Pwc hanno dato il loro via libera al bilancio del 2020.

“A nostro giudizio – si legge nel testo– il bilancio fornisce una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria del Gruppo Monte dei Paschi di Siena al 31 dicembre 2020, del risultato economico e dei flussi di cassa”.

Ma Pwc ha aggiunto in un testo seguente che c’è incertezza significativa rispetto alla “continuità aziendale” e non solo.

Già si parla di ulteriori e necessarie capitalizzazioni per MPS, stimate fino a 2,5 miliardi. Se ce ne fossero, porterebbero a valori spropositati i fondi pubblici e bancari stessi utilizzati per salvare l’istituto senese.

Insomma MPS continua ad essere sempre “Too Big To Fail”, troppo grossa per fallire, dove il “troppo grossa” è più in merito alla presenza di un numero veramente grande di correntisti il cui coinvolgimento finora è sempre stato scongiurato, ma a che prezzo?

Intanto si cercano aggregazioni, si cercano nuovi soci anche per Carige, oltre che per MPS naturalmente. Difficile definire dove porterà il Risiko Bancario di queste ultime ore che vede un po’ tutti gli istituti più importanti al centro della scena. La sensazione ora è che si sia ormai ad un punto di svolta in cui ogni cosa può diventare possibile, ogni scelta praticabile.

Sta di fatto che il rischio concreto che altri soldi pubblici finiscano nel sistema è estremamente probabile. Anche se nella situazione dei conti pubblici italiani potrebbe essere davvero difficile prendere in considerazione questa opzione, probabilmente anche poco etico.

Per tornare al fallimento di Popolare di Vicenza ed a tutto il caos che ne aveva anticipato il crack, bisogna tornare indietro fino al 2015. A fine 2015.

L’avvento della legge sul Bail-In ha cambiato completamente le regole del gioco nel settore bancario, scompaginando completamente procedure consolidate che, impedendo alle banche di fallire, consentivano a manager e banchieri di muoversi come se non avessero mai nulla da perdere (visto che in caso di necessità ci starebbe stato sempre qualcuno pronto a ripianare i debiti contratti).

Ma così non è stato più.

A partire dal 2016 le cose sono cambiate radicalmente, tanto che la nuova normativa è stata applicata in Italia quasi con eccesso di rigore, addirittura qualche mese prima che andasse in vigore e proprio con il fallimento delle prime quattro banche di cui abbiamo già parlato.

In Europa, invece, soprattutto in Germania si è lasciato che lo Stato intervenisse più di una volta a risollevare i conti di tante Sparkassen e soprattutto di Commerzbank e DBank.

 

Leopoldo Gasbarro