La Commissione europea si accoda agli Stati Uniti e approva i dazi contro il dumping delle auto elettriche made in China. Il Dragone risponde vendicandosi contro il latte e i formaggi importati dal vecchio continente.
Si intensifica la guerra commerciale tra l’Europa e la “fabbrica del mondo”, ma mentre ci si prepara a lasciare la parola alle armi del protezionismo i canali diplomatici restano aperti per trovare, come ancora afferma Bruxelles, una “soluzione alternativa”.
I tempi del negoziato terminano il 31 ottobre, data ultima nella quale le misure contro le e-car cinesi approvate da Bruxelles finiranno in Gazzetta ufficiale, diventando effettive per i successivi cinque anni. Quindi fino alla fine del 2029.
Analizzata nuovamente la soluzione, la scelta è stata quella di porre dazi massimi aggiuntivi fino al 36% (dalla prima formulazione del 38%) da sommare alla tassa standard del 10% ora in vigore.
La gradazione della punizione europea dipende però dall’entità degli aiuti di Stato che Xi Jinping elargisce a ciascuna delle sue case auto.
Così sulle auto Byd scatta una tariffa di importazione maggiorata del 17% e del 19,3% su Geely, che è la casa madre di Volvo. Molto peggio va a Saic, alleata con Volkswagen, stangata con una gabella del 36,3%.
Altri 17 brand cinesi fuori dal campione sopra detto, che sono stati più collaborativi nello svelare a Bruxelles la concorrenza sleale, pagheranno il 21,3%, mentre altre case produttrici molto reticenti verseranno il massimo: il 36%.
Penalizzata anche l’americana Tesla per la sua produzione asiatica, tuttavia la misura adottata è modesta: per il gruppo di Elon Musk i dazi aggiuntivi si fermano al 9%.
Tutto questo a meno che non vinca il fronte dei Paesi europei contrari alla stretta decisa dalla Commissione di Ursula von der Leyen.
A guidare il fronte dei contrari sono, per ovvie ragioni visti gli interessi di Volvo e Volkswagen, la Germania e la Svezia, ma al momento non ci sono i numeri per ribaltare i pronostici.
Il quorum prevede la maggioranza qualificata dei voti a disposizione dei 27 Paesi dell’Unione ma Francia, Spagna e Italia sono schierate in modo compatto per andare avanti.
Secondo alcune stime l’importazione di auto elettriche cinesi a luglio è crollata del 45% rispetto a un anno prima. Il dato va però depurato dalla probabile corsa dei produttori a vuotare i magazzini il mese precedente al fine di dribblare i super-dazi.
Passiamo ora alla controffensiva cinese. Pechino, oltre fare ricorso al Wto contro i dazi auto, ha avviato una indagine antitrust sul settore lattiero-caseario della stessa Europa. Un colpo al petto del vecchio continente che è secondo solo alla Nuova Zelanda come esportatore di latte e formaggi dentro la Grande Muraglia per un valore prossimo a 1,7 miliardi.
La guerra dell’auto elettrica si affianca peraltro alla battaglia per il predominio dei microprocessori sempre in corso con il Paese guidato da Xi Jinping e alla corsa a riportare l’uomo sulla Luna per farne una miniera da cui ricavare metalli e terre rare.
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L’indagine cinese durerà un anno, così da esaminare gli aiuti che l’Unione concede alla filiera agricola dei Paesi membri. Lo stesso copione già in corso per la carne di maiale europea, quindi anche gli insaccati, che arriva alle dogane di Pechino e per i superalcolici.
Evidente il tentativo di Xi Jinping di spezzare il fronte comune europeo, colpendo i diversi Paesi. La più danneggiata della ritorsione contro gli alcolici sarebbe la Francia, mentre l’Irlanda avrebbe parecchi problemi su latte e formaggi.
Staremo a vedere. Ma una cosa è certa: i dazi non sono mai forieri di crescita e sano sviluppo. A vincere è il libero mercato e la libera concorrenza su un corretto terreno di gioco.