Calcio e finanza

Cosa è la “dipendenza da plusvalenze” che mette nei guai la Juventus

Calcio e finanza

La vicenda di questi giorni legata alle plusvalenze (fittizie) che coinvolge il calcio professionistico può rappresentare un punto di svolta per riassestare questo sistema dai parametri economici all’apparenza inconciliabili. Il calcio italiano, infatti, rappresenta uno dei principali comparti industriali per redditualità (alle soglie dei 5 miliardi), con una capacità rilevante a livello decennale tanto nel trend di crescita dei redditi (5% annuale) che dei debiti (36 miliardi in dieci anni, +6% annuale), come da Report FIGC.

La perdita di esercizio di 3,6 miliardi decennali è finita tutta sulle spalle degli azionisti dei club. I redditi sono assorbiti per il 23% dalle plusvalenze ed il 60% dagli emolumenti del personale sportivo. Tale squilibrio non si registra solo in Italia, se solo si pensa che i 12 club che diedero vita alla Superlega fanno registrare un debito complessivo di 3 miliardi.

La recente indagine della Procura delle Repubblica di Torino che vede coinvolta la Juventus, nell’accendere i riflettori (e gli accertamenti) su queste operazioni rappresenta forse un elemento incidentale, perché la “virata” obbligata del sistema calcio verso una nuova sostenibilità economico-finanziaria reale è arrivata comunque al punto di non ritorno.

La vicenda, in cui si intrecciano i rapporti tra le norme regolamentari del sistema sportivo e calcistico in particolare (a livello nazionale ed internazionale) e quelle di impronta civil-penalistico dell’ordinamento statale, potrebbe verosimilmente non restare confinata al club piemontese (ci sono controparti evidentemente) ma coinvolgere una fetta di quel tessuto societario calcistico che ha pensato di trovare, in tutte le categorie professionistiche, una facile “scorciatoia” per aggirare i controlli ed i parametri gestionali imposti dalla FIGC per certificarne la sana e corretta gestione ai fini dell’appartenenza al contesto agonistico.

Le plusvalenze

La “plusvalenza” – tecnicamente il differenziale che viene a determinarsi sul piano bilancistico (patrimoniale) tra il costo storico di acquisizione del bene immateriale-calciatore (“diritti alle prestazioni”) – rappresenta, in linea generale, uno dei fattori di ricavo di maggior pregio dell’attività gestionale di un club, perché ne misura la capacità di creare valore (sportivo prima che contabile) dal proprio patrimonio sportivo.

In linea generale questo valore diventa tanto più rilevante quanto più siano coinvolti calciatori dalla imputazione bilancistica bassa, addirittura a zero per i calciatori provenienti dal proprio settore giovanile oppure per quelli provenienti dai dilettanti e le classiche scoperte dello scouting all’estero. Secondo le norme, queste plusvalenze presuppongono, ovviamente, un trasferimento di denaro come contropartita della cessione dei diritti del calciatore.

Non accade ciò in quelle che ora “avvelenano” il sistema calcistico, in cui l’introito di denaro resta teorico, azzerato attraverso una sistematica operazione di segno contrario tale da produrre per la società controparte un analogo effetto-plusvalenza. Le cifre, in genere, sono molto elevate e non sempre collimano con la logica del curriculum del calciatore, della sua età e, a ben guardare, finanche della effettiva capacità di spesa dei club in quel momento storico. 

L’effetto negativo

Il risultato di queste operazioni “a specchio” deve essere visto in una duplice prospettiva. Nell’immediato, l’effetto sui conti del bilancio di prossima chiusura sarà senza dubbio positivo, in quanto la creazione di questa sorta di “provvista” contabile consente di riequilibrare le passività della gestione corrente.

Nel breve periodo, invece, il costo dell’acquisto “correlato”  di un calciatore comporterà la determinazione di poste di “ammortamento” (a quote costanti per l’intera durata del contratto, quasi sempre quinquennale) che andranno ad appesantire i bilanci successivi (il 23% dei costi, come si è visto), facendo inevitabilmente insorgere nei club la necessità di accrescere i ricavi con cui farvi fronte. In assenza di eventi significativi di incremento della capacità reddituale (quali in primis promozione in categoria superiore o plusvalenze reali) ciò determina l’insorgere di una sorta di “stato di necessità contabile” in cui spesso il club non troverà altra soluzione che individuare…una nuova plusvalenza.

Il club entra, cioè,  in una “dipendenza” di ampiezza pluriennale in base alla quale continua a optare per scambi “a specchio” di importi sempre maggiori per coprire i crescenti ammortamenti in sommatoria ed i relativi costi degli stipendi, così come spesso anche le competenze di agenti e mediatori, a loro volta alla continua ricerca del calciatore libero da vincoli, l’ideale per tali operazioni.

A proposito dei calciatori, in queste vicende, quelli estranei al top level, restano in una sorta di prigionia: impossibilitati ad interrompere il contratto di cui beneficiano, spesso non vedranno mai la maglia della prima squadra, andranno a giocare in prestito ricevendo sempre scarsa attenzione dai club di destinazione e dopo i classici 5 anni non riusciranno a sviluppare alcun curriculum spendibile per poter continuare la carriera professionistica.

Le conseguenze

Per l’impatto rilevante di queste pratiche – di grande consistenza specie nelle transazioni da e per l’estero – queste “bolle” non consentono di determinare la reale situazione economico-patrimoniale dei club. In coincidenza con il peggioramento del contesto economico generale, ciò inibisce ogni tentativo di risanamento e ripresa, che evidentemente passa per investimento di tipo  sportivo ed infrastrutturale, ed allontana il raggiungimento della sostenibilità gestionale.

Questa spirale, in una realistica ricaduta di tre stagioni può determinare effetti pesantissimi per quei club diventati “dipendenti”: in Serie A vengono meno progetti di investimenti per la crescita dimensionale e la competitività sportiva; in Serie B vi è progressiva rinuncia alla corretta modulazione della programmazione sportiva; in Lega Pro, invece, diventa complicato evitare il fallimento. Gli eventi di mobilità tra le categorie possono agevolare oppure accelerare tali prospettive.

I controlli

Per quanto dotata di poteri ispettivi imposti per legge e per quanto dotata di un corpus di norme all’altezza, la FIGC non ha potuto far altro che registrare i valori che le sono transitate prima nei contratti depositati e poi nelle risultanze di bilancio. I club sono società di capitali che operano in un libero mercato in cui è altrettanto libera anche la determinazione del valore di un singolo trasferimento.

Le Leghe nei rapporti tra i club operano come camera di compensazione, determinando l’aggregato delle “campagne” operate dai singoli club e possono solo vigilare sul rispetto degli impegni (con fidejussioni an garanzia) e dei parametri gestionali posti alla base per le iscrizioni ai campionati di riferimento.

Per quanto a livello FIFA ci siano stati tentativi di oggettivizzare  in qualche maniera il valore assegnabile ad un calciatore, le contestazioni degli organi federali, senza alcuna capacità di indagine invasiva, non sono mai arrivate al punto cruciale di poter dimostrare il “disegno” che sottende tali operazioni documentali. Ben altre prospettive, però, si possono determinare se le verifiche siano portate avanti dagli organi dello Stato, proprio come è il caso delle vicende di questi giorni.

Le conseguenze

Le eventuali plusvalenze fittizie hanno ricadute diverse sul bilancio, non solo sul piano dell’equilibrio delle componenti e della determinazione del risultato di gestione, ma anche sul piano della sua attendibilità, della sua veridicità e della capacità dello stesso di attestare realmente lo stato di salute del club. La determinazione del valore di un calciatore  – pur nella prospettiva di non poterne determinare un “fair value” – laddove sia inserita in un contesto di rapporti tra parti “correlate” in un quadro tale da determinare vantaggi scientemente determinati attraverso un dimostrato accordo, rappresenta il presupposto in grado di determinare una alterazione del riferimento di bilancio.

Dal quadro contabile reso pubblico derivano, infatti, obblighi ed aspettative di organismi statali e federali, altri club, sistema bancario, investitori e sistema economico e competitivo in generale. In questi casi si rilevano i cosiddetti “reati societari” di stampo penale, sia riferito ai  soggetti a cui è imputata la responsabilità di aver agito che dello stesso club (legge 231/01).

Per la permeabilità dei due sistemi (legge 280/2003), una vicenda così determinata rientra nella cognizione FIGC con profili che, non più relativi (solo) al fair value, sono incentrati appunto sull’alterazione dei documenti di bilancio presentati  ai fini dell’iscrizione ai campionati. Un’ipotesi disciplinare tra le più gravi previste dalle norme federali.

Il futuro

La questione, al di là dell’esito e dell’ampiezza dei coinvolgimenti, deve essere trattata come un problema “strutturale” e non come una vicenda giudiziaria o finanche ordinamentale. La presunzione di una zona grigia collegata alla impossibilità nell’oggettivizzare il fair value dei trasferimenti, più del passato, rischia di rappresentare nell’attuale situazione di crisi post-Covid una ipotesi di risoluzione dei problemi di equilibrio e sostenibilità gestionale altrimenti difficilmente raggiungibili per un’ampia fetta del calcio professionistico.

Il deciso passo compiuto dalla FIGC – che ha censito e posto l’attenzione sul fenomeno – rappresenta un’occasione forse irripetibile per invertire la tendenza, cioè per sgonfiare queste “bolle”. Esso dovrà essere seguito, sul piano culturale e gestionale, dall’abbandono di tali pratiche e dall’avvio di una fase di “risanamento” sia sul piano contabile (svalutazioni) che gestionale, rivitalizzando quelle attività che meglio determinano le reali plusvalenze: la cura di vivai e formazione giovanile, nonchè lo scouting di qualità, sfruttando al meglio anche il recente riconoscimento nella legge di bilancio dell’apprendistato professionalizzante per i calciatori under 23.

In una prospettiva non meno che quinquennale, semplicemente alzando la qualità sportiva, diminuendo l’apporto di stranieri spesso inutili (avete visto nelle squadre Primavera?), investendo in stadi e centri sportivi e nella qualità del management, il sistema italiano potrebbe addirittura riuscire a ri-mettersi in marcia per ciò per cui è da sempre nella top five mondiale: fare calcio.        

Giuseppe Tambone, 29 novembre 2021

 

 

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