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Canada, dazi del 100% sulle navi made in China

L’associazione cantieristica canadese punta alla messa al bando. E ora si svegliano anche gli Stati Uniti

© nightman1965, kool99 e yelo34 tramite Canva.com

Forse ai vari governi occidentali il dato era sfuggito: la cantieristica navale cinese si è accaparrata nel primo trimestre di quest’anno il 70% dei contratti per la costruzione di nuove navi, con implicazioni strategiche e geopolitiche tutt’altro che marginali. Se ne è accorto il Canada, non il governo di Ottawa, ma la Canadian Marine Industries and Shipbuilding Association (CMISA) che ha posto un vero e proprio out-out al governo chiedendo di estendere immediatamente anche alle navi di costruzione cinese la sovratassa (o dazio che dir si voglia) del 100% che viene già applicato sui veicoli elettrici di produzione cinese.

Un dazio come sulle auto elettriche

Secondo l’associazione canadese le navi costruite in Cina rappresentano una significativa minaccia strategica con risvolti etici per le industrie canadesi e per la sicurezza nazionale.

Come detto, la Cina domina il mercato globale delle costruzioni navali. Nel primo trimestre del 2024, i cantieri navali di Pechino hanno cumulato il 70% dell’orderbook mondiale, assicurandosi 24,1 milioni di tonnellate di ordini, con una crescita su base annua del 59%.

Con gli ultimi ordini piazzati nel 2024, il portafoglio ordini complessivo è balzato a 154 milioni di tonnellate, facendo registrare un incremento del 34,5% su base annuale.

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Ma i canadesi, nell’assordante silenzio degli altri Paesi occidentali, inclusi gli Stati Uniti che con il Jones Act per anni si sono di fatto tagliati fuori da soli dal mercato dello shipping che conta, hanno alzato la voce: per CMISA le preoccupazioni relative all’industria navale cinese, dovrebbero diventare patrimonio comune di tutti i governi, che si accontentano di occupare con le loro imprese cantieristiche posizioni di nicchia del mercato (è il caso dell’Italia con le navi da crociere e le unità militari) e fanno finta di dimenticare la principale dottrina alla base del boom cantieristico cinese:  la “fusione civile-militare”, ovvero il sistema per utilizzare i proventi crescenti derivanti dalla costruzione di navi mercantili al fine di sovvenzionare un costante sviluppo della potenza militare del Paese.

Introiti record per finanziare il militare

Secondo l’Associazione che i cantieri cinesi che producono navi commerciali costruiscono anche navi da guerra per la Marina cinese, contribuendo alla sua espansione e a potenziali sfide agli interessi canadesi, anche nelle acque artiche. A questo proposito Cmisa ha espresso disappunto per la recente decisione di Marine Atlantic, una società della Corona canadese, di affittare un traghetto costruito in Cina per il servizio sulla costa atlantica del Canada, con un’intesa basata su un contratto di noleggio che “sembra progettato per eludere il controllo pubblico e le preoccupazioni etiche riguardanti anche le condizioni di lavoro nei cantieri cinesi”.

“Raccomandiamo l’imposizione di una sovrattassa del 100% su tutte le navi di costruzione cinese importate in Canada e chiediamo un chiaro divieto a qualsiasi ente governativo o società della Corona di acquistare o affittare navi di costruzione cinese”, ha dichiarato il portavoce dell’associazione. Precisando che queste misure sono necessarie per proteggere le industrie canadesi, tutelare la sicurezza nazionale e garantire la coerenza con l’impegno del Canada sulle tematiche dei diritti umani e delle corrette pratiche commerciali.

E in questi giorni, in vista delle elezioni, anche il gigante Stati Uniti ha sollevato serie preoccupazioni riguardo a pratiche commerciali sleali da parte della Cina nei settori della cantieristica, del trasporto marittimo e della logistica. Il Rappresentante degli Stati Uniti per il Commercio (USTR) ha aperto un’indagine sulle politiche e pratiche sleali e non di mercato in questi settori, in risposta a una petizione presentata dai sindacati statunitensi, tra cui lo United Steelworkers (USW). La petizione propone rimedi, tra cui una tassa sulle navi costruite in Cina che attraccano nei porti statunitensi.

Pechino punta su un maxi gruppo cantieristico

E ciò accade nel momento in cui la cantieristica cinese punta con decisione verso un rafforzamento strutturale: China CSSC Holding e China Shipbuilding Industry Corporation (CSIC), entrambe riconducibili alla holding statale China State Shipbuilding Corporation (CSSC), hanno deciso di fondersi attraverso scambio azionario.

L’accordo dovrebbe porre fine alla concorrenza interna nel settore e favorire la nascita di un colosso mondiale nel campo della costruzione navale. L’operazione rappresenta peraltro il più grande consolidamento patrimoniale dalla formazione di CSSC, avvenuta nel 2019 a seguito della fusione tra China State Shipbuilding Corporation e China Shipbuilding Industry Corporation.

CSSC Holdings ha quattro filiali principali: Jiangnan Shipyard, Shanghai Waigaoqiao Shipbuilding, Chengxi Shipyard e Guangzhou Shipyard International, mentre i cantieri affiliati a CSIC includono, tra gli altri, Dalian Shipbuilding Industry Co, Bohai Shipbuilding Heavy Industry, Wuchang Shipbuilding Industry Co e Qingdao Beihai Shipbuilding.

Sostanzialmente Pechino punta nei cantieri a un bis della strategia attuata nel 2016 nel settore del trasporto marittimo con la fusione tra China COSCO Shipping Corporation e China Shipping Group e, nel 2017, l’ntegrazione tra China Merchants Group e Sinotrans CSC.

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