Potrebbe avere vita breve la pacchia dei cittadini italiani che oggi fanno il pieno all’auto elettrica a prezzo stracciato. A meno di non aprire un altro buco nei conti pubblici dopo la voragine scavata dal Superbonus voluto dal governo Conte.
E’ la conseguenza delle follie green dell’Unione Europea, convinta di poter costringere i cittadini a cambiare case e macchine a suon di “Grida” di Manzoniana memoria.
Il problema è presto detto. Malgrado le difficoltà manifestate dalle case costruttrici, Bruxelles vuole che dal 2035 siano prodotte solo auto elettriche. Gli Stati membri perderanno quindi gran parte delle accise oggi incassate sui carburanti. A quel punto molti Paesi correranno ai ripari, alzando le tasse sul pieno di elettroicità alla colonnina, cioè “traslando” il gettito.
E utile ricordare che nel 2023 Iva e accise su benzina e gasolio hanno fruttato 39 miliardi allo Stato Italiano. Il problema del mancato gettito è comunque trasversale a tutti gli Stati del Vecchio continente.
Uno studio di Unem, l’ex Unione petrolifera, stima in particolare che entro il 2030 impiegheremo 5 milioni di tonnellate di carburanti liquidi in meno rispetto ad oggi per alimentare i nostri veicoli.
Il computo tiene conto del saldo tra la contrazione dei prodotti fossili e lo sviluppo di quelli rinnovabili, insieme alla crescente domanda di energia elettrica trascinata da oltre 4 milioni di auto elettriche pure (in sigla BEV) come previsto anche dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima.
Un tale scenario si traduce per l’Erario in una perdita di gettito pari a 3,8 miliardi sui carburanti solo per quanto riguarda le accise. Il dato è al 2030 ma l’ammanco potrebbe sfondare quota nove miliardi già entro il 2040.
Ne consegue che per compensare l’emorragia il fisco italiano dovrà dotarsi di sacche di sangue. A meno di non intervenire sulla fiscalità generale, sono due le possibilità sulla carta:
- aumentare le accise sulla benzina e gasolio ancora in uso per quella data, ma già oggi quelle della Penisola sono tra le più alte d’Europa;
- stangare il pieno delle auto elettriche alla colonnina.
In entrambi i casi a farne le spese saranno gli automobilisti. I numeri non lasciano scampo: oggi per fare 100 chilometri con un’auto elettrica si spende mediamente tra i 5 e i 6,5 euro. “Al 2030 questa spesa potrebbe quadruplicare considerato che il calo delle entrate fiscali si dovrebbe riproporzionare su circa 4,1 GWh di consumi elettrici legati al trasporto, con un aggravio stimato in circa 0,92 euro/kWh che, sommati ai 0,35 euro/kWh medi attuali, porterebbe il costo di una ricarica a 1,27 euro/kWh”, si legge ancora nello studio di Unem.
Dato che una BEV per percorrere 100 chilometri consuma mediamente tra i 15 e i 19 kWh, se lo Stato vuole recuperare il gettito fiscale perso, la spesa per l’utente finale dovrebbe attestarsi tra 19 e 24 euro.
In sintesi, il danno al portafoglio sarebbe quattro volte il costo attuale e il doppio rispetto a quello sostenuto oggi con un’auto ibrida a benzina. Un assurdo. Soprattutto in un Paese come l’Italia che ha sempre visto i carburanti come un “bancomat” da cui prelevare ripetutamente, alzando le accise.
A confermare l’assurdità del diktat Ue sono le differenze esistenti nel parco auto del vecchio continente. Come si vede dal grafico, solo la Norvegia ha quasi completato la sostituzione del parco autovetture con le BEV. Senza contare che il governo di Oslo finanzia la transizione con il petrolio. Insomma, un grande cortocircuito.
Per il resto sono marcate le differenze e quindi è folle che la Commissione Ue non ne tenga conto. A meno che i tecnocrati di Bruxelles non vogliano sistematicamente danneggiare qualcuno, il Nord Europa è infatti molto più avanti dei paesi mediterranei, già definiti “Pigs” (“Maiali”) per il loro debito pubblico.
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Le auto con la spina stentano comunque anche in Germania, che ha infatti visto crescere le immatricolazioni di veicoli a benzina (+7,5%) e a gasolio (+9,5%).