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Bluff auto elettrica, Italia ferma al palo

Vendite in calo a causa dei costi d’acquisto elevati e delle polizze salate. Il problema colonnine di ricarica

auto elettrica © 3alexd, CGinspiration e Konstantin Postumitenko tramite Canva.com

L’Italia dell’auto elettrica ha la retromarcia innestata. Il diktat green con cui la Commissione Ue punta a bloccare dal 2035 la vendita dei veicoli nuovi alimentati a benzina avrebbe dovuto provocare il contrario, eppure ancora pochi cittadini dello Stivale sono disposti ad acquistare una vettura con la spina per gestire le esigenze di spostamento proprie e della famiglia.

Così malgrado le immatricolazioni siano risultate in crescita nel corso del primo trimestre (+5,7% a 450mila unità), nello stesso periodo l’elettrico in Italia è sceso a poco meno di 3 veicoli ogni cento (2,9%). Sempre da gennaio a marzo hanno Fanno peggio solo Slovacchia (2,6%), Repubblica Ceca (2,3%) e Croazia(1,3%).

Perché questa debacle? Tra i problemi principali alla diffusione nel nostro Paese delle auto elettriche si contano:

  • un costo di acquisto più elevato dell’equivalente modello a motore endotermico;
  • polizze Rc auto mediamente più salate di tutte le altre “tradizionali”, a causa dei maggiori costi di riparazione in seguito a sinistri.

Nello specifico, secondo alcune elaborazioni diffuse dal portale Segugio.it, a fronte di una media di circa 620 euro  per un preventivo assicurazione auto elettrica, se ne pagano 565 euro per una diesel, 483,9 euro per una a benzina e 468,2 euro per una ibrida, risparmiando così oltre il 24%.

 

Fonte: Seguio.it

Ai motivi economici si somma poi un problema di flessibilità d’uso, a causa del numero ancora ridotto di colonnine di ricarica in funzione fuori dai grandi centri abitati. Soprattutto nel Meridione.

In ogni caso le tre auto elettriche italiane ogni cento del primo trimestre impallidiscono a confronto delle altre principali economie del vecchio continente: la Francia si attesta infatti al 17,9%, il Regno Unito al 15,5%  e la Germania a un comunque lusinghiero 11,7 percento.

A breve è atteso l’avvio di una nuova stagione di incentivi che potrebbero indurre alcuni automobilisti a rivedere le loro scelte di acquisto. Dovrebbe tuttavia far pensare che in tutte le precedenti campagne di rottamazione per svecchiare un parco circolante che resta tra i più attempati d’Europa, il plafond dei bonus governativi per le auto a benzina si è esaurito quasi subito mentre quello per i veicoli elettrici è rimasto poco gettonato.

Qualcuno obbietta che i bonus per le e-car siano troppo bassi rispetto ai prezzi di listino, e probabilmente è vero. Ma resta il fatto che la paladina dell’auto elettrica in Europa sia la Norvegia, cioè uno Stato che finanzia la transizione con i proventi del petrolio incassato al suo fondo sovrano.

Un cortocircuito logico nei termini che sfugge all’ossessione per la decarbonizzazione sventolata dalla sinistra e dai talebani dell’ambiente. Gli stessi che, in ambito universitario vorrebbero rifiutare i finanziamenti per la ricerca erogati dai big dell’energia e si dicono contrari al nucleare.

 

Fonte: segugio.it

In molti, a partire dal signor Toyota, si sono già resi conto che le auto con la spina non riusciranno a breve a diventare egemoni, a causa dei molti problemi che ancora le affliggono. Non per nulla la casa di noleggio Hertz ha deciso di disfarsi di migliaia di mezzi green.

Senza contare che un automobilista che oggi circola con veicolo in classe euro 2 o euro 3, difficilmente domani passerà a una vettura solo elettrica. Piuttosto si rivolgerà, anche per ovvii limiti di spesa, al mercato dell’usato alla ricerca di una soluzione a benzina con meno emissioni e che possa ancora entrare nei centri città senza eccessive penalizzazioni.

Il progetto di Stellantis di concentrare in Italia la produzione non sembra insomma una ideona. I deludenti risultati di vendita appena sfornati dal gruppo franco-italiano guidato da Carlos Tavares e presieduto da John Elkann ne rappresantano un’avvisaglia.

Leggi anche: Unilever ci ripensa e molla i talebani del green.

Fino a qualche anno fa i top manager erano misurati sui risultati che riuscivano a portare agli azionisti, ora invece tutto pare immolato sull’altare ESG. Una religione che sovente cade nell’estremismo o si trasforma eresia. Siamo sicuri di averci guadagnato?