Lego rinuncia a usare le bottiglie di plastica riciclate: avrebbe inquinato di più

Dopo 400 milioni di investimenti, interrotto il progetto per trovare un nuovo “materiale magico”

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Era il 1946, lo stesso anno in cui gli italiani possono tentare  per la prima volta la fortuna al Totocalcio, quando a duemila chilometri a Nord delle Alpi l’imprenditore visionario Ole Kirk acquista per la sua azienda, la Lego,  una macchina a iniezione per lo stampaggio della plastica. Per la Danimarca è una novità assoluta e, come spesso accade, innovare sbaraglia la concorrenza. Quella macchina per stampare la plastica si rivela infatti la schedina vincente di Kirk: Lego costruisce mattoncino di plastica dopo mattoncino di plastica un successo planetario, fino ad arrivare a essere una multinazionale dei giocattoli che fattura miliardi, apre parchi divertimento a tema come sa fare solo Walt Disney, finisce con i suoi personaggi nelle sale cinematografiche, entra nel mondo del sogno producendo i modellini delle navicelle di Guerre Stellari, collabora con marchi dell’empireo del lusso come Ferrari.

Era il 2021 quando Lego, malgrado fosse già una delle aziende più attente all’ambiente su scala mondiale, prova una tentazione evidentemente irresistibile: lancia un progetto per stampare i suoi mattoncini, quelli a cui deve il successo, utilizzando bottiglie di bevande riciclate. A ben guardare quello stesso filo di ossessione verde per cui, secondo gli attivisti climatici alla Greta Thumberg, l’umanità dovrebbe spostarsi solo a piedi e stando bene attenta a non schiacciare gli insetti sotto la suola delle scarpe. Il colosso dei giocattoli danese è convinto che così avrebbe ridotto la propria impronta carbonica, investe 400 milioni annunciando che nel 2030 sarebbe diventato del tutto plastic free. Un risultato abbastanza ambizioso, pensiamo noi, per sperare di vincere anche la “schedina” del Totocalcio ESG, cioè su ambiente, sostenibilità e governance. L’indimenticabile “sistemone” di Lino Banfi e Jerry Calà nel film “Al Bar dello Sport” , invece, questa volta fallisce. Lego, è notizia di questi giorni, interrompe del tutto il progetto plastica riciclata; insomma: basta rovistare nei cassonetti dell’immondizia per salvare il mondo. Sia chiaro la ricerca è l’anima di una azienda, investire è per chi produce è vitale come per l’uomo respirare, e il recupero dei materiali, il loro riciclo è sacrosanto. Quello che qui conta è tuttavia un’altra cosa: la supposta svolta green di Lego con le bottiglie riciclate e la loro plastica Pet avrebbe alla fine portato il gruppo a inquinare di più; quindi non ad aiutare la lotta climatica ma ad aggravarla. “Abbiamo testato centinaia e centinaia di materiali. Non è stato possibile trovare un materiale” magico per risolvere i problemi di sostenibilità, ha dovuto ammettere l’amministratore delegato Niels Christiansen al Financial Times, annunciando il paso indietro.

Una nemesi per i bambini di mezzo mondo e i tanti collezionisti dei vecchi “inquinanti” mattoncini del gruppo. Il nome Lego è l’abbreviazione di due parole: “leg godt” , “giocare bene” in danese. Con un materiale che ha dimostrato di essere “magico” per la sua robustezza e flessibilità di utilizzo: la plastica.

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