Investitore italiano fai da te, c’era una volta…
Quattro Investitori italiani su dieci sono oggi più propensi ad affidarsi a un consulente finanziario e a riconoscere maggior valore e attenzione alla consulenza professionale in futuro. Lo rivela un recente sondaggio condotto da Columbia Threadneedle Investments, uno dei principali gruppi di risparmio gestito a livello globale, su un campione rappresentativo di 800 persone.
Dalla ricerca emergono interessanti evidenze in merito al sentiment degli italiani: uno dei dati più indicativi lo manifesta quel 42% del campione e riguarda appunto la consapevolezza che per un corretto approccio agli investimenti è necessario affidarsi a dei professionisti. In sintesi, quasi 1 italiano su 2, oggi, è meno predisposto a rischiare e più incline a farsi aiutare da un consulente finanziario.
Non manca, infatti, tra i connazionali, una quota di pentiti delle scelte fatte prepandemia in fatto di allocazione delle risorse finanziarie in investimenti. Tale soglia ammonta al 65 % e s’impenna fino al 78 % se dal campione si screma la fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni. Letti all’unisono, il 42% dei pro-consulenti e il 65 % dei ravveduti, fanno, su per giù, l’identikit degli investitori italiani dopo il coronavirus.
Se consideriamo poi che, fuori dal perimetro indagato, solo un esiguo 13 % degli investitori italiani sia disposto a incontrare (o abbia già incontrato) un consulente, mentre un 17% appaia restio a pagare una consulenza professionale, capiamo bene perché la consulenza finanziaria nel Bel Paese sia ancora ai suoi albori. E che la strada da percorrere è piuttosto lunga. Ciò premesso, comincia a farsi strada l’ipotesi che il tempo di crisi che stiamo attraversando riesca a innescare, tra le tante azionate, un’ulteriore accelerazione o, meglio, un’inversione di trend in termini d’incremento di attenzione verso la consulenza professionale.
Di cosa, infatti, si pentono 2 intervistati su 3? Si rammaricano di non avere un piano finanziario adeguato (il 31%) o di avere un orizzonte temporale troppo di breve (l’11%, cioè 1 su 9). Nel dettaglio, sono i più giovani, quelli di età compresa tra i 25 e i 34 anni, a dichiararsi più favorevoli a ridiscutere le proprie scelte d’investimento. Contestualmente, il 40 % dell’intero campione afferma, a fronte degli errori percepiti, di voler migliorare e aumentare il livello di diversificazione dei propri investimenti in futuro.
Come rispondono, invece, gli italiani intervistati in merito alla gestione della propria emotività? Un intervistato su sei si dice orientato a vendere i propri investimenti nelle fasi di forte ribasso dei mercati. Non sfugge all’indagine un segmento del campione, ben il 44%, che avrebbe sviluppato una maggiore avversione al rischio e che dichiara di preferire la liquidità: un riscontro che non lascia indifferenti e, anzi, fa’ da contraltare ai dati di fonte ABI che ci informano in merito ai 1600 miliardi di euro già in sosta sui conti correnti.
Scorro infine gli ultimi dati della survey per imbattermi nella lettura della conseguenza più incisiva che questa crisi genera: un aumento significativo del senso di preoccupazione e d’incertezza nella percezione del Futuro. Timori per la propria situazione patrimoniale e per l’impatto duraturo che si teme abbia la crisi (lo pensano 7 italiani su 10). Si aggiungono le incertezze nei confronti delle aspettative di carriera e i dubbi sugli obiettivi finanziari che il 30% e, rispettivamente, il 33% del campione ritengono non più sicuri come prima a causa della pandemia e dell’imprevedibilità della situazione attuale..
La fascia anagrafica compresa tra i 24 e i 65 anni avverte più fortemente questo senso d’instabilità, probabilmente a causa della “opacità delle prospettive” economiche del prossimo decennio, mentre chi è più prossimo al pensionamento percepisce minore paura se guarda a lungo termine. La differenza di percezione ha la sua, probabile, giustifica per effetto della maggiore stabilita’ già maturata e mitigata dalla certezza del reddito (da pensione) e da potenziali flussi integrativi (eventuali rendite).
Guardando a questi ultimi numeri mi torna in mente che: “la paura è l’emozione più potente, essendo connessa all’istinto di sopravvivenza, ….e anche la più misconosciuta e che è trattata in modo errato” (G. Nardone). La crisi è come se avesse azionato questo istinto primordiale, due volte: facendoci temere per la sopravvivenza biologica e anche per quella finanziaria. Un istinto di base, dunque, esposto al quadrato.
Come tenervi testa “a mani nude”, mi chiedo?
Penso perciò tra me e me a chi, tra gli investitori intervistati e non, non abbia ancora un piano finanziario adeguato o semplicemente si ritrovi a non averne uno in assoluto, unitamente a chi non abbia ancora avuto l’opportunità di capire quanto sia fondamentale avere “un metodo” per gestire le tensioni di certe congiunture finanziarie e delle inevitabili ripercussioni sul piano emotivo.
Penso che chiunque si ritrovi sprovvisto di questa “attrezzatura” necessaria a mantenere salda la rotta, e saldi i nervi, si difenda meno adeguatamente tanto dagli impatti emotivi quanto da quelli finanziari e si ritrovi poi a pagare il prezzo più caro in termini di perdite, sia sull’uno sia sull’altro fronte. Valga per tutti, un’ultima “evidenza”: stamattina leggo che il NASDAQ, con i suoi 9.840 punti, supera perfino il picco toccato lo scorso 19 Febbraio (cioè prima dell’inizio di tutto).
L’indice dei titoli tecnologici ha sostanzialmente già spazzato via il crollo innescato dalla pandemia azzerando del tutto l’effetto finanziario Covid-19, e l’ha fatto in poco più di tre mesi.