Ricordate com’era complicato reperire informazioni per fare le “ricerche” ai tempi della scuola? In quegli anni, le poche famiglie che avevano a casa le infinite e polverose enciclopedie, fatte di pesantissimi tomi suddivisi in ordine alfabetico, erano pochissime.
Non tutti, infatti, avevano manuali o enciclopedie a casa e, spesso, ancora più ridotto era il reale accesso alle biblioteche pubbliche, soprattutto per chi viveva nei centri più rurali. L’avvento diffuso di internet ha cambiato radicalmente questo paradigma consentendo a tutti di avere accesso ad un numero infinito di informazioni che mai nessuna enciclopedia cartacea potrebbe mai contenere.
Non appena iniziò a diffondersi, grazie anche al progressivo miglioramento dell’infrastruttura telefonica su cui poggiava, internet venne poi considerato come un potentissimo strumento democratizzante in grado di “liberare” miliardi di persone in virtù della sua funzione di veicolo di informazioni e conoscenza.
La sua tecnologia rappresenta, quindi, la prima utopia della digitalizzazione che preconizzava un mondo globalizzato in grado di mettere in collegamento Oriente ed Occidente, Nord e Sud del pianeta agevolando il contatto tra le culture e la loro armonizzazione.
Questa prima era idealista, fatta di tanti pionieri e di relativamente poche informazioni disponibili rispetto ad oggi, ha tuttavia avuto una breve durata. Governi e imprese private hanno progressivamente preso il controllo della nuova agorà accrescendo il loro potere fino allo scoppio della bolla delle dot.com tra fine anni Novanta e inizio Duemila.
Il mondo dopo lo scoppio della bolla era diventato molto diverso, eravamo nel post 11 Settembre e anche le tecnologie, il rapporto col web e la gestione dei dati stavano cambiando rapidamente e per sempre. Col passare del tempo, e con lo sviluppo dell’analisi degli algoritmi, il vero potere di internet ha cambiato forma, da diffuso a concentrato nelle mani di poche potentissime big tech che hanno iniziato ad offrire servizi sempre più accattivanti apparentemente a costo zero.
Si trattava, invece, della formula magica, ovvero del giogo, per dominare il mercato che da analogico si stava trasformando in digitale, rendendo le big tech potenti quanto uno Stato sovrano: tanto che alcuni auspicano oggi che Amazon e Google abbiano un seggio al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Come indica Sesto Viticoli nel libro “Una innovazione responsabile”, (Guerini 2021): “la quantità di informazioni raccolte su ogni persona, prodotto e organizzazione crescerà in misura esponenziale e la pressione per condividere tali informazioni aumenterà”, tuttavia, prosegue: “appare estremamente probabile che tutti questi strumenti frantumeranno la privacy, indipendentemente dalla problematica, sul tappeto”. La vera sfida del futuro per imprese, governi e cittadini sarà quella di comprendere e proteggere il vero valore dei dati.
Il prezzo da pagare per essere sempre connessi sarà, quindi, quello di essere sempre esposti, esponendo anche i nostri dati. Il che è ben comprensibile osservando che circa 4,66 miliardi di persone sono attualmente connesse a internet (2021) ma lo è ancora di più se si pensa che, in prospettiva, nel 2050 gli abitanti della terra dovrebbero sfiorare gli 8 miliardi. Si tratta quindi di un mercato – e non a caso lo definisco tale – che gode ancora di amplissimi margini di sviluppo, e che le big tech intendono certamente esplorare, in virtù anche di alcune aree del pianeta come l’Africa sub sahariana oggi ancora quasi del tutto vergini.
A fronte però di un potere sempre crescente, i “governanti del web” si dimostrano ben poco democratici, quanto tutt’al più paternalisti, essendo piuttosto avvezzi ai motti latini: “panem et circenses” e “divide et impera”. Al circolare sui loro canali di fake news, del body shaming, del cyber bullismo e dell’odio sotto varie forme – come dimostrano anche le recenti rivelazioni su Facebook – oppongono spesso una blanda ed apparente forma di contrasto che cozza invece col prosperare di questi fenomeni in nome dell’acquisizione di nuove informazioni.
Per gli idealisti del web, però, vi è ancora una, e forse ultima, speranza: la blockchain. Questa tecnologia di cui ogni giorno scopriamo nuove applicazioni, potrebbe essere in grado di frantumare l’oligarchia delle big tech – anche se molte di queste già si stanno organizzando con sistemi simili – restituendo agli utenti il sogno di un mondo libero, democratico, ma anche ordinato.
Se la disintermediazione e l’indipendenza della sua natura sono caratteristiche auspicabili per molti non lo sono per tutti, ed è chiaro che il modello criptovalute – che per certi aspetti è destinato a cambiare profondamente – non sia replicabile in altri ambiti.
Resta, però, il desiderio di un mondo online meno etero diretto, monitorato e governato dalle big companies, in cui la libertà degli utenti non sia illusoria come quella di Matrix e nemmeno simile né ad un “1984 digitale” né ad uno “stato di natura” di hobbesiana memoria. I prossimi anni ci diranno se questa è solo l’ennesima utopia o se può rappresentare il modello di un nuovo sistema di governance etica, magari con meno welfare ma con circolarità e solidarietà.
Maurizio Pimpinella