“Il virtuale è reale”
sostiene il Manifesto della Comunicazione Non Ostile ed effettivamente nella nuova era digitale la distinzione tra vita reale e digitale è sempre più flebile. Si può anzi sostenere che la vita reale e la vita digitale sono ormai due facce della stessa medaglia.
Nel mondo virtuale la persona non è rappresentata dalla sua fisicità, ma da quell’infinità di dati e insieme di attività su internet, chiamate “impronte digitali” (di cui abbiamo approfonditamente parlato qui) che sono poi andate a formare, nel tempo, una complessa “identità digitale” molto fedele e quasi interamente sovrapponibile alla nostra identità fisica che, nel corso della vita, abbiamo immesso in rete. Impronte che permangono anche successivamente alla morte fisica.
Come si gestiscono le informazioni e il patrimonio di una persona deceduta? Posso decidere il destino della mia identità digitale?
In questa era di “rivoluzione digitale” è opportuno interrogarsi sull’impatto che il fenomeno successorio potrà avere in relazione al patrimonio digitale delle persone fisiche e sugli strumenti che ciascuno potrà adottare per decidere anticipatamente quale sorte debbano avere i propri dati, il cui valore ed importanza vengono troppo spesso sottovalutati rischiando, in caso di non lascito delle proprie credenziali, la completa perdita di dati digitali e documenti anche di ingente significato economico.
La scorsa settimana abbiamo parlato di come l’eredità gestita tramite il testamento su Blockchain possa rivelarsi efficace ed efficiente per i beni della vita “reale”. Oggi vogliamo porre attenzione all’eredità dei beni digitali per la quale si rende opportuno un approfondimento utile a sensibilizzare gli utenti del web, senza distinzione di patrimonio, età e professione a gestire per tempo il proprio patrimonio digitale.
L’eredità del patrimonio digitale
L’“eredità digitale” è un fenomeno i cui contorni giuridici si sono delineati, con sempre maggior forza, solo in tempi recenti con cui si fa riferimento all’insieme di dati informatici che compongono il patrimonio digitale e che sopravvive al decesso di una persona. La questione della trasmissibilità dell’eredità digitale non è di poco conto (e assume sempre più fondamentale importanza), soprattutto alla luce del costante sviluppo tecnologico. È bene però in prima analisi comprendere cosa sia esattamente il patrimonio digitale.
Il “patrimonio digitale” è molto di più di un “cofanetto di ricordi”, è un capitale di beni suscettibili di valutazione economica e pertanto possono ricomprendersi, a pieno titolo, nell’asse successorio di un defunto.
I beni digitali si distinguono, sostanzialmente, in patrimoniali e non patrimoniali.
I beni patrimoniali si caratterizzano per il loro valore economico intrinseco e la correlata facoltà di utilizzazione economica che essi attribuiscono al titolare. Si pensi, ad esempio alle criptovalute, ai software scritti da un programmatore, alle fotografie digitali scattate da un fotografo professionista, ai progetti di un architetto disegnati attraverso programmi per la progettazione ai beni compravenduti on line, ai profitti scaturenti dalle professioni legate al web, come per i gamer, gli youtuber o i blogger e, in generale, qualsiasi “dato” che sia stato creato dal defunto o su cui lo stesso poteva vantare un diritto di proprietà esclusivo e assoluto.
I beni a carattere non patrimoniale, (o personale o familiare) invece, sono quelli a contenuto strettamente personale, suscettibili di essere valutati soltanto nella loro rispondenza a interessi individuali, familiari, affettivi o sociali, quali, ad esempio, e-mail, fotografie di famiglia, scritti intimi o personali.
Il sempre più ingente utilizzo dei dispositivi tecnologici (quali smartphone, tablet etc.), che ormai gran parte della popolazione utilizza, contribuisce ad alimentare questo patrimonio digitale e non prevedere meccanismi (e una regolamentazione normativa apposita) per consentire la successione ai propri è una visione miope del futuro prossimo.
Allo stato attuale, l’ordinamento giuridico italiano non prevede alcuno specifico strumento giuridico per la trasmissione mortis causa del patrimonio digitale in grado di superare le problematiche connesse al trasferimento delle credenziali di accesso. Di conseguenza, è necessario ricorrere a (o avvalersi di) istituti già vigenti, sia pure adattandoli alla realtà tecnologica.
Le soluzioni per pianificare la successione delle Criptovalute
La problematica trova la sua massima espressione nell’ambito delle criptovalute, sono infatti loro i beni patrimoniali digitali per eccellenza (quali Bitcoin, Ethereum, Monero, Ripple, Stellar, Litecoin): monete virtuali prive di un controvalore garantito da un soggetto terzo e accessibili attraverso una chiave crittografica, destinate all’investimento, alla detenzione o all’uso esattamente come la moneta avente corso legale, con la differenza però che le transazioni possono essere realizzate solo attraverso strumenti tecnologici, ossia attraverso la blockchain che però non prevede al momento il concetto di ereditarietà.
Pur in assenza di un quadro normativo specifico in materia, si può tuttavia affermare con sufficiente certezza che anche i diritti di credito espressi in valute digitali abbiano natura patrimoniale, e dunque, sono in grado di rientrare a pieno titolo nella massa ereditaria oggetto di successione.
Al mondo ci sono oltre 100 milioni di detentori di criptovalute, in via diretta o indiretta. 1 persona su 80, tra gli abitanti del pianeta, interagisce o ha interagito con Bitcoin & co. Secondo una ricerca de “La Stampa” elaborata sui dati CONSOB, Banca d’ Italia e CoinMarketCap aggiornata al 15 aprile 2021 il valore delle criptovalute raggiunge i 2.220 miliardi.
Secondo stime recenti di questi sarebbero circa 4 milioni di Bitcoin, stima la compagnia di assicurazioni crypto Coincover, andati persi perché i possessori non hanno fatto in tempo a fare testamento è tempo quindi di iniziare a pensare alle criptovalute come a un asset da trasferire anche attraverso un testamento.
Ma come si ereditano le criptovalute?
Questo è solo uno dei nuovi aspetti della cosiddetta eredità digitale ed è per questo che i clienti stanno richiedendo diversi servizi per assicurarsi che i propri eredi possano entrare in possesso delle loro criptovalute senza problemi.
In materia successoria ottenere l’accesso al conto bancario di un soggetto deceduto è un’operazione non particolarmente complessa per gli eredi del de cuius, grazie una normativa consolidata che può immettere nel possesso i soggetti effettivamente legittimati in maniera piuttosto celere.
Tuttavia, nel campo delle criptovalute, che fondano le loro basi sulla decentralizzazione e sull’anonimato, l’accesso alle quote ereditarie non risulta così immediato. Certo è il diritto degli eredi ad ottenere i valori in valute digitali del de cuius, incerto è il loro effettivo ottenimento in assenza di una ponderata programmazione da parte del defunto. Dunque, con riferimento all’accesso dei legittimati alle quote testamentarie, ad oggi, il problema non risulta essere prettamente giuridico quanto piuttosto tecnico.
Purtroppo però i sistemi decentralizzati e automatizzati come quelli che fondano le valute crittografiche finiscono per mostrare le loro debolezze proprio nel momento della successione, quando si tratta di consentire ai legittimi eredi dei titolari dei diritti, che non possiedono le credenziali di accesso, l’accesso i valori presenti sui loro sistemi. La completa automazione dei processi e il fatto che questi sistemi si affidano ad algoritmi piuttosto che a personale fisico fanno sì che, in assenza di un’adeguata programmazione ereditaria da parte del de cuius, possa risultare davvero difficile accedere ai valori investiti in valute digitali crittografiche.
Quali soluzioni allora per proteggere e trasmettere le proprie criptovalute?
La regola d’oro è: pianificare la successione in tempi utili adottando alcune pratiche soluzioni.
Al momento affidarne la custodia a un notaio sembra ancora poco raccomandata in quanto è complicato trasmettere questa chiave senza esporla, esponendo così di conseguenza il proprio valore a soggetti diversi dai destinatari designati. Una criptovaluta è infatti regolata da complessi sistemi crittografici che rendono tendenzialmente autonomo l’operare dell’utente. Senza la chiave crittografica non è quindi possibile accedere al portafogli virtuale e, di prassi, nessuno possiede tale chiave se non il proprietario del portafogli.
Se prendiamo ad esempio il sistema Bitcoin, l’utente non entra in contatto con alcun intermediario fatta eccezione per l’exchange (il soggetto da cui acquista i bitcoin) e il fornitore del portafogli (che può essere una app o un servizio online) con il quale gestisce le proprie transazioni. Non è poi nemmeno necessario che questi soggetti siano a conoscenza dei dati personali dell’utente, molte criptovalute devono infatti la loro fama proprio al (quantomeno potenziale) anonimato dell’utilizzatore finale.
Inserire ad esempio la chiave in un testamento potrebbe essere problematico in quanto lo stesso deve essere poi esibito a tutti gli eredi e in numerose occasioni da questi ultimi ad ulteriori soggetti per gli adempimenti burocratici del caso.
Una prima soluzione è fornita da CoinCover, startup insurtech britannica la quale offre polizze innovative che proteggono i clienti dai rischi delle criptovalute. Ha creato un metodo facile per trasmettere criptovalute agli eredi: lo schema è diverso da quello dei normali lasciti testamentari e prevede che i possessori di bitcoin si dotino di una card di acciaio inossidabile, con un codice univoco tipo carta di credito, e ne diano una copia ai beneficiari. Se il titolare muore, i suoi eredi contattano CoinCover con il numero della card in proprio possesso, insieme a un certificato di morte e dopo le indagini di rito ricevono l’accesso ai fondi, che intanto sono al sicuro su un wallet protetto.
Una seconda soluzione è quella di lasciare in eredità le chiavi private utilizzando appositi servizi come quelli forniti da Casa Hodl e Unchained Capital due società che si occupano di servizi di eredità per le crypto.
Una terza soluzione è affidarsi ad alcuni servizi che si propongono di gestire l’eredità dei file bitcoin con un sistema di tipo “keep-alive” che invia delle email al proprietario del conto e trasferisce i fondi ad un altro portafoglio (precedentemente indicato) in caso di mancata risposta entro un dato periodo.
Una quarta soluzione per chi invece è più tradizionalista è quella di seguire i consigli del portale americano Nolo, specializzato in consulenze legali, che suggerisce ai possessori di criptovalute di fare testamento in tre step, per assicurarsi che i loro cari possano ereditare le crypto: per prima cosa devono citare le criptovalute nel testamento, in modo che gli eredi ne vengano a conoscenza; al tempo stesso devono includere informazioni precise sul proprio portafogli digitale (quale app o wallet fisico, la password, ecc) secondo step è spiegare come vi si può accedere, ed infine è bene che si scriva una guida dettagliata per spiegare come i beneficiari possano beneficiare della criptovaluta.
Non sono pochi i casi di eredi costretti a dover rinunciare a metterci le mani sopra perché non hanno le informazioni per accedervi. Il problema però è che spesso i clienti non si fidano di lasciare informazioni preziose come la chiave per accedere ai propri bitcoin neppure al proprio avvocato. Per questo servono soluzioni ancora più innovative.
Ci sono soluzioni per la pianificazione del patrimonio digitale in generale? Sì, ne parleremo la prossima settimana.
Deborah Ullasci