Il New York Times trascina in tribunale ChatGPT o meglio mette alla sbarra OpenAi, cioè la società che ha creato il software di Intelligenza artificiale attualmente più diffuso e la sua controllante Microsoft.
Motivo della citazione in giudizio è il fatto che OpenAi e Microsoft avrebbero “addestrato” i neuroni digitali di ChatGPT e di altri chatbot facendogli leggere e analizzare milioni di articoli di proprietà del quotidiano americano, che però sostiene costi ingenti per la sua redazione e vincere la battaglia delle news affidabili. Con il risultato, secondo gli avvocati che hanno preparato il faldone, che OpenAi e quindi Microsoft avrebbero violato il diritto d’autore e la proprietà intellettuale.
Il documento, rilanciato dallo stesso New York Times, non avanza una precisa richiesta di risarcimento. Molto peggio reclama danni per miliardi di dollari e chiede ai proprietari di ChatGPT di interrompere immediatamente l’uso indiscriminato dei materiali di sua proprietà.
La causa del NYT si materializza dopo mesi di negoziati e tentativi di accordi senza risultato tra le due società. Se la citazione in giudizio avrà successo, promette di stabilire un precedente per definire i contorni legali nell’utilizzo della Intelligenza artificiale generativa.
Giova ricordare che altre società hanno già fatto causa a OpenAi e che la stessa Unione europea ha provato a regolamentare l’impiego di ChatGpt e dei software concorrenti dal punto di vista della sicurezza. Ma probabilmente i risultati saranno scarsi.
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Violazione del copyright e potenziali indennizzi monetari a parte, nessuna legge o norma è finora mai stata in grado di tenere realmente il passo con lo sviluppo della tecnologia e del mercato. Non per nulla altre realtà dell’editoria – come Axel Springer, la tedesca Build o Politico – hanno già annunciato una collaborazione con OpenAi.