La speranza di vita continua a crescere: negli ultimi trent’anni di sono guadagnati sei anni superando quota 80. E sono nettamente migliorate le condizioni di vita e di salute. Ma si continua a ragionare con i vecchi parametri. Mentre sarebbe indispensabile una sempre maggiore flessibilità: nel lavoro e nelle pensioni. Senza dimenticare la sostenibilità dei conti pubblici, ma mentre continua il valzer delle pre-elezioni nessuno si occupa davvero di ciò che accade…
Le promesse elettorali valgono per quello che sono: poco più di nulla. Ma sorprendono, al di là delle proposte concrete, gli schemi impolverati, le vecchie logiche, i parametri ormai superati che accompagnano i programmi dei partiti.
Sono almeno sei gli elementi di fondo che fanno a pugni con la realtà.Il primo: è del tutto irreale che mandano in pensione i lavoratori più o meno “anziani” si aprono praterie per nuove assunzioni. Così come ritardando l’uscita dal lavoro si chiudano le porte ai giovani.
Un’indagine dell’Isfol (oggi Inapp) nel 2015 su un campione di società nel settore privato extra-agricolo ha messo in evidenza come dopo la riforma del 2011, la cosiddetta Riforma Fornero che ha alzato l’età pensionabile, solo il 2,2% delle imprese ha rinunciato ad assunzioni già programmate.
Il secondo: si dimentica che ogni intervento sulle pensioni ha un effetto moltiplicatore sui conti pubblici. Aumentare solo di dieci euro tutte le pensioni costerebbe più di due miliardi l’anno.Il terzo: non è vero che i lavoratori non vedono l’ora di lasciare l’impiego. Lo dimostrano i risultati della tanto sbandierata quota 100: l’anticipo pensionistico è stato scelto dalla metà delle persone rispetto a quanto stimava la riforma voluta dal governo di Lega e 5 stelle.
E la spesa, pur rilevante, è stata inferiore alle aspettative: circa 11 miliardi al 31 dicembre 2021, contro i 18 stimati.Il quarto: l’età “ufficiale” per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni, ma l’età media reale dei pensionati negli ultimi anni è di 62 anni, grazie a ampie deroghe, larghe eccezioni e molteplici trattamenti particolari.
Il quinto: non è vero che le pensioni sono “basse”. Nell’ultimo rapporto dell’Ocse si sottolinea che “il sistema pensionistico italiano abbina un’età legale di pensionamento elevata con un’aliquota contributiva del 33% per le pensioni, determinando un elevato tasso di sostituzione netto del 92% per i lavoratori con una carriera senza interruzioni e con salario medio, rispetto a un tasso del 59% in media, nell’area dei paesi industrializzati”.
Quindi il sistema pensionistico italiano è “costoso” richiedendo un’elevata contribuzione da parte dei lavoratori, ma nello stesso tempo “generoso” per le rendite che garantisce dopo il lavoro.Il sesto elemento (collegato al precedente) è che gli anziani sono tutt’altro che poveri, salvo ovviamente anche vaste eccezioni.
Un recente rapporto del Censis sottolinea come il “poverismo” riceva una smentita inequivocabile.
“La quota di ricchezza degli anziani sul totale della ricchezza delle famiglie italiane è passata in 20 anni dal 20,2% a quasi il 40% del totale. Gli anziani hanno una ricchezza media più alta del 13,5% di quella media degli italiani.
In venticinque anni la ricchezza degli anziani è aumentata in termini reali del +77%”.
A questi elementi possiamo aggiungere il fatto che è sempre più verificabile che al concetto di “anzianità” si stia progressivamente sostituendo quello di “longevità”.
Lo dimostra la crescita della speranza di vita, che ha ormai superato quota 80 anni (anche se la pandemia nel 2020/2021 ha interrotto provvisoriamente questa crescita). La speranza di vita per gli uomini è a quota 80,6 anni (più alta di quasi due anni della media europea) e per le donne a 84,9 anni (un anno in più della media europea. Si vive più a lungo, ma si vive anche mantenendo più a lungo le capacità intellettuali ed operative.
I 75enni di oggi sono paragonabili, come qualità di vita, ai 65enni di cinquant’anni fa. Certo con molte e comprensibili eccezioni.La “silver economy” è ormai una dimensione rilevante della società e non certo solo per i pannoloni e le medicine, ma anche per l’industria turistica, che proprio grazie agli anziani può allungare le proprie stagioni, così come per il “non profit” nella miriade di enti e associazioni che sviluppano attività culturali, ricreative ed assistenziali.
Ecco perché sarebbe necessaria una politica basata sulla flessibilità: perché ogni persona ha una storia diversa, ogni lavoro ha caratteristiche diverse, ad ogni persona va riconosciuta dignità e apertura sociale. La risposta della politica è stata fino ad ora quella di moltiplicare le leggi e i regolamenti. Con risultati più che modesti se è vero, come è vero, che l’Italia continua ad avere una delle percentuali più basse d’Europa di partecipazione al mondo del lavoro.
28 agosto 2022. Gianfranco Fabi