Economia

Facebook chiude in Europa. Anzi no: è “stato confusionale”

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Le notizie si rincorrono e si smentiscono. Facebook chiude in Europa. Anzi no. E’ solo un errore di comunciazione. Ma un errore di comunicazione in un momento tanto complicato rischia di far chiudere davvero i battenti o, quantomeno, di creare un clima di dismissioni e scarsa credibilità attorno alla piattaforma ed ai proogetti futuri di Zuckerberg. Siamo in pieno stato confunsionale.

 

La “minaccia” velata di chiudere Facebook e Instagram in Europa è stata presto smentita. Ma questo è solo l’ultimo capitolo dello scontro tra Big Tech e politica, che ha messo al centro della propria politica digitale la privacy e la protezione dei dati.

Nato tutto da una errata interpretazione del documento diffuso da Meta consegnato alla SEC (Security and Exchange Commission, organo federale statunitense di vigilanza dei mercati di borsa). Nel documento Meta evidenzia che nel caso in cui manchino regole chiare in grado di consentire lo scambio di dati tra Stati Uniti e Unione Europea “non saremo più in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più importanti, compresi Facebook e Instagram, in Europa”.

Meta, la società che controlla Facebook, Instagram e Messenger, ha smentito le voci circolanti su una possibile chiusura in Europa dei principali canali social. A renderlo noto è l’Agi (agenzia giornalistica italia) chiarendo l’equivoco: “Non abbiamo assolutamente alcun desiderio e alcun piano di ritirarci dall’Europa”. Anche perchè contano circa 309 milioni di utenti in Europa quotidianamente. Quindi escludendo il mercato europeo e considerando già il preventivo ban di Tik Tok in India, le prospettive per Meta non sarebbero positive e rimarrebbe principalmente solo il mercato statunitense.

Una smentita che però lascia trasparire la preoccupazione della società per le conseguenze che le nuove regole della privacy europee potrebbero avere sul proprio business europeo.

Uno dei problemi più importanti della crisi di Facebook si è legato alla libertà di espressione da parte dei clienti. Facebook ha fatto scelte molto di campo in vari settori, dalla gestione della Pandemia, alle elezioni americane e questo ha portato molti ad abbandonare il social. Ma questa è solo la punta dell’iceberg.

Per capire cosa sta succedendo è infatti necessario ricordare il “limbo” regolatorio sul tema del trasferimento dei dati personali dalla UE verso gli USA. Dopo che a Luglio 2020 la Corte di Giustizia UE ha invalidato l’accordo internazionale detto dello “Scudo Privacy” che regolava il trasferimento dei dati personali dalla UE verso gli USA.

Ma nell’agosto del 2020 il Garante privacy irlandese (competente per la presenza in quel Paese della sede europea di Facebook) ha notificato a Facebook Inc. una decisione preliminare in cui si è ritenuto che il trasferimento negli USA non può avvenire nemmeno sulla base delle clausole contrattuali standard e va addirittura sospeso (la decisione finale è attesa entro la prima metà di quest’anno).

Meta, come ogni altra azienda americana del genere, è di fatto obbligata a segnalare alla Sec ogni possibile preoccupazione circa il suo piano di business. E tra le fonti di preoccupazione è proprio un altro regolamento, piuttosto restrittivo, che riguarda le “piattaforme on line molto grandi”, cioè quelle che raggiungono una media mensile di almeno 45 milioni di utenti.

Tra i divieti ed obblighi si leggono il divieto di pubblicità mirata ai minori, divieto assoluto di pubblicità targettizzata basata sui dati personali che rivelano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche o l’appartenenza sindacale, dati sanitari, dati su gusti e abitudini sessuali, etc; obbligo di risarcire i danni agli utenti; trasparenza sugli algoritmi utilizzati dalle piattaforme; procedure di notifica dei contenuti nocivi on line; rafforzamento del consenso degli utenti, etc. 

Insomma, i canali tramite cui piattaforme come quelle di Meta hanno basato parte del loro successo e guadagni. Siamo di fronte all’inizio di una battaglia politica contro le Big Tech in cui a rischio oltre la privacy degli utenti ora c’è anche quella del futuro di queste grandi aziende.

Facebook che negli ultimi anni è stato più volte sotto i riflettori proprio per scandali inerenti principalmente la gestione dei dati dei singoli utenti e dei propri algoritmi sta raggiungendo nuovi apici, con il social network al centro di una tempesta perfetta.

Ad aumentare le incertezze è arrivato, all’interno del report annuale, la conferma che per la prima volta dalla sua creazione, ha visto scendere il numero di utenti. Un calo marginale ma di controtendenza alle previsioni degli analisti.

Che dopo un calo, il primo in 18 anni, da 1.930 miliardi a 1,929 utenti nell’ ultimo trimestre del 2021 ha causato il più grande calo di borsa mai registrato a Wall Street, con oltre 240 miliardi di capitalizzazione evaporati in una singola giornata. Come se un terzo della borsa italiana sparisse in un giorno. Il colosso digitale di Marc Zuckerberg ha chiuso gli ultimi tre mesi dell’anno scorso con ricavi per 33,67 miliardi di dollari (contro i 28,07 miliardi di un anno prima e in linea con le sue previsioni) ma ha registrato un utile netto di 10,29 miliardi di dollari (-8%), sotto le attese degli analisti.

Un piccolo segnale, quello della riduzione degli utenti, che segna un grande cambiamento. Andando a guardare la storia di Facebook ed il panorama attuale, è il primo social network ad affrontare un cambio generazionale, una piattaforma nata nel 2004, quando le prospettive di Internet e la creazione di contenuti erano profondamente diversi da oggi.

Facebook è una azienda che per quanto grande, risponde alle stesse dinamiche di mercato di tutte le altre. Anche i colossi come Facebook possono commettere errori di strategia.

Dopo che per la prima volta ha subito un calo si sono innescate delle conseguenze a cascata. Cosa ha portato una azienda così grande a subire la perdita più grave vista nella storia della borsa di New York? Era una perdita prevedibile? Analizzando i fatti sì. Prima di tutto l’evoluzione e crescita dei competitor ha sancito un primo passo di discesa.

Apple è tra le prime cause di questa crisi che ha dato la possibilità ai propri utenti, ovviamente su iPhone ed i suoi dispositivi, di scegliere se tracciare le loro informazioni per poi rivenderle ad aziende terze con scopi pubblicitari. Solo il 25% degli utenti ha accettato. Aspetto, quello delle informazioni dei propri utenti, che finora aveva fatto la fortuna della società. Il capo delle operazioni finanziarie David Wehner ha stimato che il cambio di policy Apple costerà più di 10 miliardi di dollari in mancate vendite nel 2022, pari a circa l’8% del totale dei ricavi dello scorso anno.

Anche il modello di business necessita di cambiamenti. La pubblicità, su cui si basa Facebook non è più il modello più redditizio, ma gli abbonamenti, strategia ben compresa invece da aziende come Apple. E la strategia del lancio del Metaverso può essere vincente? Non lo sappiamo ancora, in quanto il Metaverso di Meta non si è, almeno per ora, rivelato particolarmente superiore a quello di Apple o Microsoft.

Non importa quanta crescita abbia avuto in passato, la capitalizzazione di mercato o il tasso di crescita inarrestabile per quasi ventanni, non esiste attività o business senza rischio, l’unica strategia e soluzione vincente resta sempre quello della diversificazione.

Deborah Ullasci, 8 febbraio 2022