Economia

Investimenti: cosa fare dopo l’invasione dell’Ucraina

Quasi nessuno un mese fa ipotizzava che la Russia aggredisse militarmente l’Ucraina.

I mercati sono di colpo crollati, come all’inizio della pandemia, altro evento imprevisto e imprevedibile.

Il drammatico e deprecabile evento mostra, ancora una volta, che è facile spiegare a posteriori le cose e le loro conseguenze. Arduo è invece fare le scelte migliori sulle corte durate, per esempio scegliere gli investimenti migliori di altri a breve termine. Le previsioni degli andamenti dei valori dei mercati e degli immobili funzionano bene solo a lungo termine (i primi, se statunitensi, salgono, i secondi, se italici, scendono).

I tempi brevi vanno sottratti dai tempi lunghi nel senso che nel caso degli investimenti le previsioni a breve sono inaffidabili. Al contrario, in tutti gli altri tipi di previsioni (condizioni meteo, traffico, prestazioni sportive, relazioni personali, gusti e preferenze di qualsivoglia tipo, moda, e così via) fare previsioni affidabili diventa sempre più difficile via via che ci si inoltra nelle nebbie del futuro. Allo stesso modo, in altri ambiti decisionali, gli esperti sanno quale è la scelta giusta: al contrario, negli investimenti, la scelta giusta è sapere di non saper fare la scelta giusta, e quindi diversificare al massimo (cfr. blog precedenti).

L’aggressione militare russa ha avuto un impatto immediato e impressionante sui mercati, come all’inizio del Covid, quando gli indici si sono inabissati per poco tempo in zona recessione (e, per fortuna, ci sono ripresi presto dal tonfo superiore al 20%). I crolli repentini incutono molta paura ai risparmiatori, soprattutto quelli che sono investiti da poco tempo sui mercati azionari e che sentono maggiormente il contraccolpo.

Quelli che sono investiti da un decennio o più, se non glielo dici, manco se ne accorgono perché passano da un incremento di più del 200% a uno del 20% inferiore: una differenza non rilevante (a meno che uno non sia proprio avido e cieco: allora è forse giusto che soffra un poco). Ma ricordate che il decennio “azionario” passato è irripetibile nella sua esuberanza (cfr. blog precedente).

Questa paura va risarcita da un premio di extra-rendimento che in gergo viene chiamato “premio al rischio”, ma che in realtà è un premio volto a compensare l’andamento incerto e temibile, almeno sul breve termine, dei mercati azionari. E così la necessità di essere risarciti da impressionanti danni a breve, si traduce in insuperabili vantaggi nelle lunghe durate, soprattutto per i mercati statunitensi, dove tutti si rifugiano nei momenti di paura e che, inoltre, sono i più profittevoli a lungo termine. Ma sono i danni a breve a dominare le menti perché l’evoluzione ci ha fatto così.

La decisione di invadere l’Ucraina mostra però la forza accecante di un altro meccanismo che gli psicologi chiamano “over-confidence”, e cioè l’eccesso di fiducia nelle proprie capacità, nella propria visione delle cose, nella abilità di saper prevedere e controllare gli eventi futuri. Un errore commesso anche dagli esperti che fanno scelte mirate, che credono meditate e astute, ma che poi spesso vengono spesso battute dagli indici, che altro non sono che la media ponderata delle scelte fatte da tutti gli altri (over-confidence è, per l’appunto, confidare di saper battere questa media!).

Lo stesso peccato, in forme più gravi, è commesso dagli autocrati aggressivi che, poi, finiscono per fare il loro stesso danno, oltre che tragedie altrui, come è successo con Saddam Hussein, Gheddafi, e, se vogliamo, persino con i dittatori del secolo scorso come Mussolini e Hitler. L’over-confidence è un tarlo maligno, un paraocchi che ci impedisce di vedere il mondo con gli occhi degli altri, soprattutto quando siamo circondati da consiglieri leccapiedi e infidi.

In occasione dell’aggressione russa, Madeleine Albright, prima Segretaria di Stato degli USA, ha pubblicato una lettera di suo nonno a sua nonna quando Stalin invase la pacifica Finlandia che si ribellò come un sol uomo. Il nonno spiega a sua moglie di tirare su i bambini (uno era il futuro papà del Segretario di Stato) e di non piangere pur con il dolore di saperlo in pericolo, fiera del patriota che combatteva contro uno degli autocrati di allora (molti suoi parenti sarebbero stati assassinati poi dai nazisti nei campi, passando da dittatore a dittatore: generazione dannata).

In conclusione, che fare? Lo stesso che ho suggerito nei blog precedenti. Se avete poche azioni in portafoglio è l’occasione per disfarsi del resto e comprarle, magari sovra-pesando gli USA “tecnologici” rispetto all’indice mondiale (che peraltro è per più di metà USA). E poi? Poi aspettare. Come dovete peraltro fare se i vostri investimenti sono da anni già saggiamente allocati così. Con l’inflazione crescente e stabile, anch’essa imprevista dagli esperti fino a poco tempo fa, il reddito fisso non può dare molta soddisfazione, se non la tranquillità di perdere poco alla volta ma inesorabilmente.

Una scelta non traumatica che spiega come mai l’inflazione sia e sarà il metodo meno indolore per far calare l’enorme massa del debito mondiale. Proprio come si fece in Italia negli anni settanta e ottanta del secolo scorso quando i titoli di stato nostrani rendevano molto nominalmente ma non riuscivano a compensare l’inflazione “vera”. Poi venne l’euro, il debito crebbe inesorabilmente, e fu tutta un’altra storia.

 

P.S. Un consiglio non disinteressato per una scelta a breve termine che, in questo caso, spero funzionerà: il 17 marzo sarà nelle librerie il mio nuovo libro sulle strategie di sottrazione, negli investimenti ma anche in molti altri aspetti della nostra vita (titolo: Quando meno diventa più, Raffaello Cortina editore). Esso dimostra, tra l’altro, quanto sia indispensabile un consulente perché le strategie sottrattive sono del tutto contro-intuitive. Come sceglierlo? Facile. Basta che il presunto consulente non cerchi di guadagnarsi la vostra fiducia provando a farvi credere di saper fare cose che non sa e non può saper fare (vedi sopra).

Paolo Legrenzi, 24 febbraio 2022