Mormorii inflazionistici
L’inflazione che ha causato la recessione delle economie del mondo occidentale all’inizio degli anni 80 sembra essere un problema del passato, ormai superato. Da allora, infatti, è scesa costantemente, consentendo tassi di interesse sempre più bassi. Nonostante gli economisti siano spesso e volentieri in disaccordo tra loro, sembrano condividere l’opinione che l’inflazione non sarà un problema nell’immediato futuro. A seguito della pandemia e delle misure economiche perseguite dalla FED e dalla BCE, però, delle pecore nere hanno segnalato preoccupazioni inerenti la crescita senza precedenti degli aggregati monetari.
Simili campanelli d’allarme sono stati espressi a seguito del forte quantitative easing implementato dalle banche centrali a seguito della crisi finanziaria dello scorso decennio. Di inflazione, però, se ne è vista ben poca, anzi: è a tratti diminuita. Tuttavia, Jeremy Siegel, professore di finanza presso la Wharton School, sottolinea un’importante differenza tra l’aumento di moneta nell’economia statunitense nell’immediato post crisi subprime e quello di adesso. Infatti, allora gran parte finì nelle riserve del sistema bancario, mentre le misure economiche di adesso indirizzano ingenti quantità di denaro al settore privato e ai consumatori tramite bonifici anti-Covid. Si parla inoltre di aumenti di diversa magnitudine, come evidente dal seguente grafico.
Coloro che segnalano un’imminente aumento del tasso d’inflazione lo fanno argomentando che la crescita dell’aggregato monetario ampio risulterà in un eccesso della domanda quando le restrizioni imposte per la pandemia verranno sollevate. Solo il tempo rivelerà se la loro premessa è valida, ovvero se ci sarà un boom dei consumi.
Quali sono le variabili dell’inflazione?
Sono molte le variabili che determinano il livello dei prezzi, non necessariamente monetarie. Tra queste, il mercato del lavoro. Infatti, alti tassi di occupazione portano a incrementi nei salari dei lavoratori, che implicano costi più alti per le aziende, le quali rispondono alzando i prezzi.
Ciononostante, gli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008 non hanno rivelato una forte correlazione neanche tra l’inflazione ed il tasso di occupazione, come evidente dal prossimo grafico. Ci sono diverse spiegazioni plausibili per la bassa reattività dell’inflazione di fronte a cambiamenti di condizioni monetarie e nel mercato del lavoro.
Quali potrebbero essere le spiegazioni per una bassa reattività dell’inflazione?
In primis, la si può attribuire alla globalizzazione, in quanto oggi le aziende, in particolare le grandi, hanno accesso a un mercato del lavoro che non è limitato ad un singolo paese, il che risulta in un minore potere contrattuale dei lavoratori e quindi in salari più stabili. La magnitudine dell’effetto dipende chiaramente dal settore. In questo senso, la recente crescita delle problematicità dei rapporti commerciali tra paesi, tra cui spiccano quelle tra gli Stati Uniti e la Cina, potrebbero supportare i pronostici inflazionistici.
In secondo luogo, l’aspettativa di inflazione dei lavoratori e delle aziende determina l’inflazione stessa, come una profezia che si autoadempie. Questa si basa in gran parte sulla crescita dei prezzi degli anni precedenti, e questo lungo periodo di bassa inflazione si traduce dunque in simili previsioni. Il seguente illustra le aspettative di inflazione di quattro paesi.
Escludendo il Giappone, la cui economia è ricca di peculiarità, il grafico sembra inoltre supportare una correlazione tra l’aspettativa di inflazione e il tasso di occupazione. Entrambe le variabili sono infatti più alte nel Regno Unito, seguito da Stati Uniti ed Europa.
Inoltre, è di fondamentale importanza considerare anche l’impatto dell’offerta di energia sul livello dei prezzi. Infatti, qualunque tipo di produzione coinvolge direttamente o indirettamente l’utilizzo di elettricità, che è dunque un importante fattore nella determinazione dei prezzi. Per esempio, l’origine della forte inflazione dell’inizio degli anni 80 è attribuibile alla crisi energetica del 1979. In questo senso, i recenti sviluppi del settore energetico potrebbero tranquillizzare i titolari di obbligazioni.
Nonostante sia considerato improbabile dalla maggior parte degli analisti, è possibile che quando le economie del mondo occidentale riprenderanno a correre a pieno regime si presenti un periodo di maggiore inflazione, e nonostante sia inverosimile questa sia elevata e duratura, è corretto prestare la giusta attenzione agli sviluppi. Pronostici inflazionistici sono dopotutto stati espressi da economisti stimati, come Bill Dudley, ex vicepresidente della FED, e qualora dovessero realizzarsi avrebbero delle conseguenze importanti anche in Europa.