Educazione finanziaria

Investire con i Pir? Il fisco è super-leggero. Ma occhio ai paletti

I Piani individuali di risparmio vanno tenuti in portafoglio per almeno 5 anni e sono pensati per sostenere le imprese del made in Italy

risparmio maiale, grafici finanza © Marcus Millo e urfinguss tramite Canva.com

Si chiamano PIR, cioè Piani Individuali di Risparmio, e sono stati pensati per far confluire il denaro dei privati verso l’economia reale. Riservando una particolare attenzione nei confronti delle piccole e medie imprese del made in Italy.

A mettere in chiaro tutti i segreti di questi strumenti finanziari, che dopo un iniziale successo sono ancora in cerca di riscossa dal punto di vista delle sottoscrizioni, è la nuova guida che l’Abi, l’Associazione bancaria italiana presieduta da Antonio Patuelli, ha redatto in collaborazione con alcune associazioni dei consumatori e che ha da poco pubblicato sul proprio sito web.

Per prima cosa va detto che chi acquista un Pir dovrebbe ragionare su un orizzonte temporale di medio-lungo termine. Poiché questi strumenti si rivolgono al retail, prevedono inoltre un preciso limite all’investimento di ogni singolo sottoscrittore. Il tetto si attesta a 40mila euro annui e a 200mila euro complessivi.

Giova poi tenere bene a mente che i Piani Individuali di Risparmio godono di molta libertà nelle loro politiche di investimento. Spaziano infatti dalla possibilità di comperare quote di fondi così da ottenere una massima diversificazione al fatto di comperare direttamente azioni e obbligazioni, possono financo parcheggiare liquidità su un conto in banca.

A tanta flessibilità fanno però da contraltare precisi paletti che i Pir devono rispettare mentre “seminano” il proprio “giardinetto”. In particolare:

  • non più del 10% del portafoglio può essere investito in strumenti dello stesso emittente;
  • almeno il 70% dell’investimento complessivo deve essere destinato a strumenti emessi da imprese italiane o europee che abbiano però sede nel nostro Paese;
  • di questa quota, almeno il 25% deve essere affidato ad azioni o obbligazioni di società che fanno parte dell’indice Ftse Mib di Borsa italiana e un altro 5% a imprese quotate a Milano fuori dal paniere principale. Quindi in società piccole e piccolissime.

Vediamo ora i vantaggi fiscali. Chi sottoscrive un Pir non paga le imposte sulle rendite finanziarie, che oscillano tra l’aliquota di favore del 12,5% riservata ai titoli di Stato (compresi i Btp Valore che stanno segnando il pieno della raccolta ad ogni emissione) e il 26% che si deve invece versare sul capital gain maturato sulle azioni.

Attenzione però a rispettare le regole, in primo luogo vanno tenuti in portafoglio per almeno 5 anni, altrimenti il beneficio fiscale decade. I Pir sono inoltre pensati in modo flessibile, nel senso che possono essere intestati anche a un minorenne, diventando così una discreta alternativa  per costruire un piccolo gruzzoletto a favore di figli e nipoti.

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Più in generale,  introdotti nel nostro ordinamento con la Legge di Bilancio 2017, i PIR hanno subito più di una modifica nel loro regolamento. La norma base prevede che siano riservati alle persone fisiche, con residenza fiscale in Italia, che non detengano contemporaneamente più di un PIR e non lo condividano con altri individui.

Il DL Anticipi, nel dicembre dello scorso anno, ha tuttavia previsto un’eccezione a questo impianto generale, permettendo di detenere più PIR presso uno stesso intermediario finanziario o assicurativo, fermi restando i limiti di investimento sopra riassunti.

Per approfondire, basta fare clic qui e leggere per intero la guida realizzata dall’Abi.