Educazione finanziaria

Ottobre: diseducazione, non educazione finanziaria

Ottobre è il mese dell’educazione finanziaria. In Italia questa è, per lo più, impartita da docenti e studiosi di economia. Come è comprensibile, i docenti tendono a insegnare. Così fanno tutti gli insegnanti nelle scuole e negli atenei: danno per scontato che gli allievi non sappiano nulla della materia di cui sono specialisti. In effetti quasi sempre è così: i docenti trasmettono nozioni nuove per gli studenti che le devono imparare per superare gli esami.

Non mi stupisco quindi che molti dei miei amici economisti, per lo meno quelli che conosco meglio e di cui so come investono i loro risparmi, non siano spesso dei buoni investitori. Se conosci l’economia, sei anche incline a credere di saper investire. Ma non sono i fenomeni economici a governare gli investimenti. Sono i meccanismi mentali condivisi dalla maggior parte degli investitori, e di conseguenza anche dagli economisti. Cerchiamo di fare chiarezza con degli esempi.

E’ ben vero che ci sono degli errori che appartengono al sapere economico. Per esempio, non tener conto dell’inflazione quando questa cresce e i prezzi nominali si scollano da quelli reali. In molti altri casi, invece, gli errori non sono specifici del ragionamento economico-finanziario.

Sono delle illusioni che sono comuni a tutte le persone perché si tratta di modi di pensare e di emozionarsi radicati nel cervello umano da migliaia e migliaia di anni. In questi casi, si tratta per lo più di diseducare le persone ai modi comuni di pensare, e non di impartire loro nozioni nuove.

Il caso più emblematico è l’asimmetria tra il dispiacere indotto da una perdita e la soddisfazione generata da una vincita. Questo meccanismo coinvolge tutte le persone in ogni ambito della vita: dall’amore per gli altri (e dal dolore profondo quando una persona ci lascia contro la nostra volontà) fino al guadagno o alla perdita in seguito a investimenti materiali e non affettivi.

Va così a finire che, se controllate spesso i vostri averi, noterete un numero maggiore di perdite (“più”) e trarrete meno soddisfazione (“meno”) dall’andamento dei vostri investimenti (cfr. il mio articolo del 13 Settembre: “Quando meno diventa più”).

Ragion per cui la maggioranza delle persone tende a fare investimenti che, almeno ai loro occhi, non possono perdere molto. In realtà, spesso, neppure si accorgono delle perdite a lungo termine. Così è avvenuto, nel corso dell’ultimo decennio, nel caso di liquidità, reddito fisso e investimenti immobiliari concentrati in Italia.

Un’altra tendenza molto diffusa, innata e difficile da sradicare dal cervello, è la confusione tra ciò che è pauroso e ciò che è pericoloso.

Il 4 Ottobre 2021, tutti i media hanno riferito, con dovizia di notizie e di storie, un incidente avvenuto presso Linate. Hanno perso la vita le otto persone che viaggiavano sullo stesso aereo. Per un tragico paradosso sono cadute nella via che ricordava il più catastrofico incidente dell’aviazione civile italiana, proprio a Linate.

Nel corso del primo semestre 2021 abbiamo avuto in Italia 105 vittime per incidenti stradali, molte di più che nei viaggi aerei. Però si tratta di perdite sgranate nel tempo, non poche catastrofi, non simultanee né avvenute tutte d’un colpo: solo un incidente ha fatto più di 4 vittime. Così degli incidenti stradali con decessi se ne è parlato solo nelle cronache locali, e certo non con l’evidenza dell’impressionante tragedia dell’aereo caduto il 3 Settembre a Linate. Ecco come si innesca la tendenza ad avere paura di ciò che è meno rischioso, in questo caso i viaggi in auto, in realtà un mezzo di trasporto statisticamente più pericoloso dell’aereo.

Ci sono altri errori, invece, che sono specifici dell’ambito degli investimenti. Per esempio, puntare tutto sulla soluzione che si crede migliore invece che diversificare. Non si sa o non ci si accorge che il rischio complessivo di un portafoglio diversificato è inferiore alla somma dei rischi delle singole fette che compongono tutta la torta: più fette, meno rischi (il “più” diventa “meno”). Per questo motivo investire in tutte le borse del mondo minimizza la possibilità di errore.

Oggi sappiamo che i mercati azionari nell’ultimo decennio hanno fatto meglio di tutte le altre forme possibili di investimento, almeno di quelle più usuali. E tuttavia, all’interno dell’indice mondiale, che è cresciuto nel complesso del 225%, abbiamo l’indice Usa S&P500 che ha avuto un incremento totale del 362%, i titoli tecnologici dell’indice Nasdaq il cui rendimento cumulato nel decennio è stato del 562% e, viceversa, i mercati emergenti che sono saliti solo del 86%.

Almeno per questo decennio l’opzione di tenere un patrimonio investito nell’indice mondiale si è rivelata una scelta ottima. Essa ha impedito di fare errori nel timing perché tante più scelte di entrata-uscita “nei” e “dai” mercati si fanno, tanto è più probabile sbagliare. Sarà così anche per il prossimo decennio? Probabilmente sì, almeno nel caso di trend secolari come quelli della salute, del lusso e, soprattutto, delle tecnologie dell’intelligenza artificiale, e non solo.

 

Conclusioni in tre morali:

Prima morale: una buona diversificazione nello spazio (dappertutto) e nel tempo (periodi lunghi come un decennio) alla lunga paga. I tempi di attesa sono estenuanti perché le previsioni a breve sono difficili, se non impossibili, e il controllo frequente dei nostri averi porta a spreco di emozioni se non, addirittura, a scelte con timing errati.

Seconda morale: l’educazione finanziaria consiste spesso in una forma di diseducazione finanziaria nel senso che, purtroppo, il consulente comportamentale deve sradicare, con fatica e tenacia, modi di pensare che sono erronei negli investimenti ma che, spesso, tali non sono nella vita.

Terza morale: solo i consulenti comportamentali sono in grado di fare una buona educazione finanziaria, che è appunto diseducazione, perché solo loro sono a frequente contatto con i clienti e così hanno avuto esperienza diretta dei ragionamenti e delle emozioni più frequenti. Tant’è vero che la mera diffusione della finanza comportamentale nei libri di testo degli economisti non ha portato ad alcuna conseguenza benefica, almeno nel corso di questo decennio.

 

Paolo Legrenzi