Sale la febbre dell’oro nelle Borse mondiali. Il metallo giallo passa ormai di mano oltre i 2.320 dollari per oncia, aiutato anche dalla decisione della recente Federal Reserve di lasciare invariati i tassi di interesse statunitensi fino a novembre, in attesa che l’inflazione mandi chiari segnali di frenata verso la soglia del 2%.
Il biondo metallo, che con il suo bagliore ha affascinato l’umanità in ogni tempo ha già sfondato tutti i record, ma gli analisti sono convinti che brillerà ancora di più. Vediamo quali sono le ragioni strutturali alla base di questo possibile rally a 24 carati.
Tra i fattori che favoriscono le quotazioni c’è l’attesa di una significativa domanda di oro fisico da parte della Cina e dal Medio Oriente. In quest’ultimo caso rappresenterebbe il più classico dei beni rifugio rispetto al rischio di un’escalation con Israele.
Più intrigante e sottile è invece l’analisi di quanto sta accadendo entro i confini della Grande muraglia. Detto che Pechino è da tempo uno dei maggiori acquirenti d’oro al mondo e consuma ormai oltre mille tonnellate l’anno del prezioso metallo, colpiscono i segnali provenienti dal “Shanghai Premium”.
Si tratta di una misura che calcola quanto costa l’oro fisico nello stato del Dragone rispetto al prezzo spot internazionale. Un significativo apprezzamento in estremo oriente offrirebbe infatti per le banche internazionali l’occasione di acquistare oro sulle piazze di Londra o di New York e rivenderlo in estremo Oriente.
Sempre più giovani cinesi tra i 25 e i 34 anni – sottolineano Ned Naylor-Leyland e Daniel March, gestori del fondo Gold & Silver di Jupiter AM – dimostrano interesse ad acquistare oro, anche in chicchi da un grammo, come antidoto per preservare il patrimonio davanti al crollo del mercato immobiliare dopo la crisi del colosso Evergrande.
Il luccichio dell’oro si riverbera poi sull’argento, molto richiesto dai paesi come l’India, che il mese scorso ha importato la cifra record di 70 milioni di once (circa 2.200 tonnellate) di argento.
Quasi la metà delle importazioni è avvenuta in granuli, probabilmente sono destinati all’industria e in particolare alle gigafactory incaricate di realizzare le batterie ordinate dal diktat mondiale per l’auto elettrica.
A parte gli usi industriali, il mese scorso l’India ha comunque importato da Londra oltre 30 milioni di once di argento. Questo, aggiungono i due esperti di Jupiter, suggerisce un orientamento verso il più economico dei due metalli preziosi.
Cosa conviene quindi fare al piccolo risparmiatore? La regola aurea quando si parla di Borsa, e mai definizione potrebbe essere più appropriata, resta quella di diversificare. Così da ridurre il più possibile i rischi connaturati a qualsiasi tipo di asset di investimento, immobiliare o Titoli di Stato compresi.
Il punto di partenza è quindi quello di costruirsi un giardinetto su misura per le proprie esigenze, meglio se con l’aiuto di un consulente di fiducia e tramite i fondi o o gli Etf (acronimo di exchange traded fund, cioè i fondi passivi scambiati tutti i giorni in Borsa) così da poter investire in modo molto ampio stanziando una somma modesta.
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A quel punto si potrà valutare di costruire un Piano di accumulo, così da mediare i prezzi di carico dei fondi azionari, obbligazionari, bilanciati o settoriali che si saranno scelti e quindi aggiungervi una manciata di oro.
Le strade per investire su metallo biondo sono sostanzialmente due: quella finanziaria e quella “fisico”. La prima prevede la sottoscrizione di Etf specializzati, di recente abbastanza trascurati dagli investitori. Offrono il vantaggio di essere rapidamente liquidabili e non comportano costi di custodia specifici come quelli di una cassetta di sicurezza, perché sono appunto “smaterializzati”.
Per contro gli Etf del settore sono però di spesso un po’ più volatili nelle quotazioni rispetto all’oro “fisico”. Appunto monete e lingotti che sovente trasmettono a chi li possiede un maggiore senso di sicurezza ma sono soggetti a furti. Come accade ai gioielli o agli orologi di lusso, soprattutto se custoditi in casa.
Quanto all’alternativa lingotti/monete di norma la scelta cade su queste ultime perché, essendo più leggere, assicurano maggiore flessibilità se si vuole disinvestire. Il lingotto necessita inoltre sovente di un “saggio” prima di essere rivenduto o comunque di una verifica del punzone da parte di un perito.
Tra le monete da investimento la regina del mercato resta invece la Sterlina (vecchio o nuovo conio), ma sono molto diffusi in Europa anche i Marenghi che possono essere italiani, francesi, svizzeri, belgi o austriaci.
A cui si aggiungono marchi, ducati, corone, dollari (nelle varianti Liberty, Indiano, St. Gaudens), pesos e il Krugerrand sudafricano. Poco cambia, se non il prezzo, perché a comandare è il cosiddetto “fino” cioè la quantità di oro contenuta in ciascuna di esse. Un po’ come avviene per i carati.
Il collezionismo, naturalmente, è tutta un’altra cosa rispetto all’oro da investimento. Nel caso della numismatica, così come nel mercato degli oggetti d’arte in cui lavorano le case d’aste, entra in gioco il fattore della “rarità” e la passione di ciascuno.
Per esempio il piacere di avere nella propria collezione una moneta aurea greco-romana, per esempio lo Statere, il Solidus di Costantino o magari l’aureo di uno degli imperatori che lo hanno preceduto, il Fiorino di Firenze battuto tra il XIII-XIV secolo o ancora il suo storico antagonista: il Ducato di Venezia.
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