Zuppa Economica del 3/10: le risposte alle vostre domande scritte in chat

Risposte a cura di Pier Paolo Abbà

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Zuppa 3 ottobre

Tendenzialmente l’inflazione non piace a nessuno.

Gli operatori di mercato quando prevedono un aumento dell’inflazione sono tendenzialmente preoccupati. Un aumento dell’inflazione, infatti, porta con sé prima o poi politiche monetarie restrittive. La più nota è l’aumento del tasso d’interesse. Gli aumenti dei tassi tendenzialmente non piacciano perché tendo a reprimere l’economia e quindi gli utili aziendali.

L’inflazione non piace neanche ai lavoratori. L’inflazione viene spesso definita come una tassa occulta, in quanto l’aumento dei prezzi di beni e servizi riduce di fatto il potere d’acquisto delle famiglie.

Per gli economisti, però, l’inflazione è anche qualcos’altro.

 

Perché l’inflazione avvantaggia i debitori?

Per chi ha un debito a tasso fisso, significa che a scadenza restituirà un importo il cui valore nominale resterà costante. Nel frattempo, però, l’inflazione ha causato un aumento dei beni e servizi. Questo significa che il valore reale del debito è diminuito. Ne deriva che il creditore riceverà i suoi interessi con un denaro il cui valore, relativamente al prezzo di beni e servizi, è più basso del previsto.
Per il debitore, dunque, l’inflazione equivale a uno sconto di fatto sull’onerosità del suo debito. Per il creditore, al contrario, si riduce il valore della somma ricevuta.

Di solito gli investitori ragionano dal punto di vista del creditore, che è chiaramente il proprio punto di vista. Se investi di fatto presti del denaro a qualcuno e quindi sei un creditore.
Un investitore trae un effettivo beneficio da un investimento quando riesce ad ottenere un rendimento che sia pari almeno al tasso di crescita dell’inflazione. E’ l’unico modo per mantenere inalterato il potere di acquisto del suo denaro.
Se, invece, riceve un rendimento inferiore al tasso d’inflazione, evidentemente ci sta perdendo. A beneficiarne, viceversa, sarà la sua controparte, ovvero il debitore.

 

Inflazione favorisce gli Stati più indebitati

Anche per il debito pubblico si applica la stessa logica. Lo Stato, nella sua veste di debitore, con l’aumento dell’inflazione alleggerisce il peso reale del suo debito. Con l’aumento dell’inflazione, infatti, cresce il Pil nominale e con esso il gettito fiscale.
Il vantaggio in questo caso è maggiormente percepibile in quanto il debito sovente viene parametrato proprio al Pil nominale ed espresso in termini percentuali. Se uno Stato non emettesse nuovo debito, un aumento dell’inflazione, a parità di ogni altra cosa, farebbe diminuire il rapporto debito/Pil.

Negli ultimi anni, caratterizzati da inflazione inesistente, intervallata anche da periodi di deflazione, gli Stati più indebitati, giusto per fare un esempio, l’Italia, sono stati penalizzati.

Un aumento dell’inflazione, come sembra che si stia verificando in questo periodo, potrà essere l’occasione per gli Stati di migliorare un pò l’andamento del debito e quindi anche la loro credibilità nel restituirlo.

 

Inflazione: conclusioni

Benchè si demonizzi costantemente l’inflazione, essa non è sempre, chiaramente entro certi limiti, un male.
Diverse elaborazioni statistiche hanno evidenziato che un aumento costante dei prezzi attorno al 2% sia considerato “salutare” per l’economia: spinge i consumi, contiene il debito pubblico ecc. ecc.
Anche i lavoratori a reddito fisso, che di norma sono svantaggiati, in un contesto economico in salute, con livelli di disoccupazione molto bassi, possono richiedere ricontrattazioni salariali.

Chi ci perde molto è il cittadino che ha tanta liquidità sul conto corrente. In questo caso la perdita è secca.

Eppure esistono diversi modi per far fruttare i propri risparmi.

 

Pier Paolo Abbà

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