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Clima, ecco i successi e i fallimenti della COP26 a Glasgow

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Passato l’eco mediatico del pungente attacco rivolto da Greta Thumberg ai governi mondali rispetto alle promesse mancate sul clima, è il momento di un esame – ragionato e basato sui fatti – dei risultati raggiunti (e di quelli falliti) dall’ultima COP26 di Glasgow. A proporlo è Schroders, società di investimento globale presente in 37 Paesi nel mondo e fortemente impegnata a sensibilizzare i risparmiatori sulla corrispondenza tra sviluppo sostenibile e produzione di ricchezza sul lungo termine anche con l’iniziativa “Oltre il profitto”. Si tratta di un invito a guardare le scelte finanziare, i mercati, da una diversa angolazione, e a osservarli considerando l’impatto concreto sul pianeta e la società, a cominciare dall’ambiente. Ma allora quale giudizio è lecito dare su Glasgow? L’obiettivo principale del summit, che era quello di aumentare e rafforzare il grado di impegno dei singoli Paesi, non è stato completamente raggiunto – rimarca subito Andy Howard, Global Head of Sustainable Investment, Schroders – “nel complesso tuttavia sono stati compiuti alcuni passi avanti in determinate aree, e sicuramente si è visto un certo slancio positivo. Seppur più debole di quanto sperassero in molti”. Analizziamo singolarmente ogni sfida sul tavolo: dal carbone alle emissioni, dalla deforestazione agli aiuti i Paesi in via di sviluppo.

 

 

L’addio (mancato) al carbone 

Nei documenti della COP26 si menziona per la prima volta il problema del carbone e dei combustibili fossili. Nonostante questa esplicitazione, l’ipotizzato impegno alla “graduale eliminazione” del carbone ha lasciato il posto a una sua “graduale riduzione”. Un vincolo, quindi, molto meno stringente per i piani industriali dei singoli governi ma che contribuirà anche molto meno del necessario alla sfida climatica. Invalicabile è stato soprattutto il muro posto dalla Cina e da alcuni Paesi in via di sviluppo. “Se il Pianeta – prosegue l’esperto di Schroders – vuole raggiungere il traguardo net zero o rimanere su un percorso di rialzo delle temperature entro 1,5-2 gradi, a un certo punto i combustibili fossili dovranno per forza essere rimossi del tutto dal mix energetico”. A dimostrarlo sono i numeri visto che ad oggi il 75-80% delle emissioni globali proviene infatti dalla combustione di combustibili fossili.

 

 

Gli aiuti al clima per i Paesi in via di sviluppo

Andy Howard, Global Head of Sustainable Investment, Schroders

Come detto, oltre al Dragone, sono state proprio alcune economie emergenti a pretendere più tempo per la transizione verde, timorose di inceppare la propria “Rivoluzione industriale”. Ecco perché è centrale pensare a una efficace politica degli aiuti dai Paesi ricchi a quelli in via di sviluppo in termini di climate finance o finanza sostenibile. Si tratta di una vexata questio, affrontata già nel 2009 a Copenaghen, dove furono stabiliti degli impegni comuni poi però mai pienamente concretizzati e rimasti sempre al di sotto dei previsti 100 miliardi di dollari all’anno. C’è però la buona notizia che a Glasgow i Paesi ricchi si sono nuovamente impegnati a raggiungere il traguardo. “Penso che questa giusta transizione sarà importante per portare avanti il progresso e per vedere i Paesi in via di sviluppo evolvere ulteriormente“, dice Howard. Vale poi la pena soffermarsi sul caso dell’India che, insieme ad altre economie in via di sviluppo sta già approfittando del contesto, subordinando l’impegno a ridurre le emissioni all’investimento di 1.000 miliardi di dollari nelle economie emergenti da parte del mondo sviluppato per sostenere la transizione. Altra nota positiva della COP26 è la maggiore attenzione da parte di tutti i governi ad affrontare gli effetti fisici reali del cambiamento climatico in atto, accogliendo la richiesta di raddoppiare a 40 miliardi di dollari all’anno lo stanziamento a favore dei Paesi in via di sviluppo, per aiutarli a mitigare o ridurre l’impatto sul loro pil dei cambiamenti climatici fisici, a partire dall’innalzamento del livello del mare e dai danni causati dal maltempo.

 

 

Stop alla deforestazione entro il 2030

È poi da accogliere con soddisfazione l’impegno preso dai leader di 100 Paesi per porre fine alla deforestazione entro il 2030. La decisione è stata presa in una riunione in cui sedevano i governi insieme alle aziende, tra cui la stessa Schroders; il vincolo è stringente quantomeno per la deforestazione basata su risorse e materie prime, cioè principalmente quella legata all’agricoltura. Questo documento, predisposto poche settimane prima del vertice di Glasgow, non è stato firmato alla COP e non ha quindi subito alcun ridimensionamento politico; al contrario – sottolinea Howard – è stato un tema facilitato dalla conferenza, e ciò rappresenta un significativo passo in avanti per restituire al Pianeta il proprio patrimonio boschivo e quindi tutelare il tesoro della biodiversità.

 

 

 

Meno gas metano, ancora molto da fare

Glasgow ha affrontato inoltre la sfida di ridurre le emissioni di metano: lo stesso Presidente statunitense Joe Biden ha promesso un taglio del 30%. “Il tema è stato discusso, ma alcuni dei Paesi in via di sviluppo non hanno voluto impegnarsi”, spiega Howard evidenziando come ci sia stata “una situazione simile con una serie di altri accordi, per esempio quelli riguardanti l’uso di veicoli elettrici”, che molti dei principali produttori non sono stati disposti a sottoscrivere. In pratica il vertice ha compiuto “alcuni passi nella giusta direzione, ma è stato difficile trovare un accordo completo” e realmente soddisfacente.

 

 

 

Il mercato del carbonio

La COP26 ha poi fallito l’obiettivo di rivedere il sistema di scambio delle compensazioni di carbonio, ormai in vigore da tempo e quindi datato. Il problema è evitare il cosiddetto “doppio conteggio”, il fatto cioè che il Paese che crea una compensazione, per esempio attraverso la silvicoltura, conteggi il beneficio e al contempo il Paese che compra tale compensazione faccia lo stesso. Facendo un parallelo è un po’ come se un negoziante conteggiasse due volte il guadagno ottenuto su una vendita e a sua volta spendesse due volte questo denaro, pensando di non stare facendo debito; insomma un assurdo. “Questo problema di doppio conteggio stava minando il mercato, e c’erano significative preoccupazioni riguardo agli standard applicati a queste compensazioni”, evidenzia l’esperto di Schroders secondo cui il dibattito avviato dovrebbe comunque porre le basi per una crescita significativa dei mercati del carbonio in futuro.

 

 

Glasgow agli esami di riparazione il prossimo anno

Glasgow è stata quindi ben lontana dal rivelarsi, come si era sperato, una “pietra miliare” sul fronte della transizione energetica. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni che avrebbero dovuto essere il punto nodale del vertice sono stati rimandati al prossimo anno, quando i Paesi saranno chiamati a rafforzare gli accordi ora solo abbozzati. “Gli impegni attualmente sul tavolo sono ancora lontani dall’evitare un aumento della temperatura a lungo termine di 1,5-2 gradi centigradi. Abbiamo bisogno di tagliare le emissioni molto rapidamente per raggiungere questo obiettivo”, riassume Howard evidenziando come “non vi siano stati molti nuovi progressi”. L’obiettivo principale di aumentare e rafforzare l’impegno dei singoli Paesi non è stato infatti “completamente raggiunto” seppure nel complesso ci siano stati “alcuni passi avanti”. Quindi un successo, solo a metà.

 

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