L’anno sta per volgere al termine e anche per le Borse ed è tempo di bilanci. Wall Street e Nasdaq continuano ad aggiornare i massimi storici mentre brindano al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, e la stessa Piazza Affari segna un progresso del 14% da gennaio ad oggi. È il frutto di una diffusa ripresa delle quotazioni, un ottimismo che va oltre le performance delle cosiddette “Magnifiche 7”. Cioè, le Big tech americane che promettono di cambiare le nostre vite con i loro prodotti e servizi: Nvidia, Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Meta Platforms e Tesla.
Ecco perché, avverte il colosso finanziario Schroders volgendo lo sguardo al 2025, diventa sempre più importante coniugare un’accurata diversificazione alla capacità di scovare le occasioni nascoste sui listini. Insomma, per investire saranno sempre più determinanti fiuto, preparazione e tecnica. Tutte caratteristiche che sa offrire un bravo gestore, capace di costruire portafogli di ampia portata, sia in termini geografici che settoriali, ad esempio nella forma di fondi comuni d’investimento. Strumenti dove il fattore “selezione” dei titoli rappresenta un grande vantaggio rispetto ai “passivi” Etf, che invece semplicemente replicano l’indice a cui sono agganciati, lasciando il risparmiatore da solo quando infuria la tempesta.
Troppo peso sulle big tech
Senza nulla togliere alla solidità e alle soddisfazioni regalate dalle Big tech, i risparmiatori devono quindi ampliare il loro giardinetto finanziario, sottolinea Duncan Lamont, CFA, Head of Strategic Research di Schroders ricordando come già quest’anno settori di norma trascurati, come le utility americane, abbiano dato generosi risultati. Insomma, quest’anno le opportunità sono state parecchie a livello internazionale, ma non sono state colte dai più. I portafogli di tanti investitori restano infatti incollati alla sola Wall Street, spesso chiusi nel recinto delle Magnifiche 7, avverte l’esperto di Schroders – sebbene gli analisti stimino che nei prossimi 12 mesi “per quasi la metà delle società quotate in Europa e in Giappone, si registrerà una crescita degli utili per azione a due cifre”. E ancora di più sarà così in termini di rendimento per i Paesi emergenti.
A ben guardare un mezzo paradosso, quanto a pianificazione finanziaria. Per avere un’idea della attuale sproporzione in termini di asset class, basta dire che, anche escludendo il fenomeno Tesla, le altre sei big tech di Wall Street rappresentano una quota del mercato azionario globale superiore al peso combinato dei sei Paesi più grandi, dopo gli Stati Uniti. In pratica, Nvidia, Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Meta Platforms pesano più di Giappone, Regno Unito, Canada, Francia, Cina e Svizzera messe insieme. Un assurdo in termini di concentrazione del rischio.
L’importanza di essere attivi
Quella attuale è quindi una situazione potenzialmente esplosiva che vale la pena di disinnescare prima che sia troppo tardi. Perché, come ricorda la stessa Schroders, è raro che una società quotata tra le prime dieci al mondo, o addirittura tra le prime 100, rimanga ai vertici di Borsa per due o tre anni consecutivi.
La passione per i singoli titoli può infatti certamente protrarsi per un certo periodo di tempo, così come è avvenuto appunto anche per le Magnifiche 7, ma poi la corda tenderà a spezzarsi, mette in guardia Lamont. Da qui la preoccupazione espressa di Schroders per le future performance dei tanti investitori che hanno puntato tutto sulle gestioni “passive”, appunto prodotti quali gli Etf, magari attratti dai costi ridotti all’osso. Perché nel 2025 limitarsi a “copiare” l’indice, e ritrovarsi un portafoglio sovrappesato sulle Big tech, potrebbe risultare una mossa avventata. Meglio quindi affidarsi a un fondo a gestione attiva, in grado di selezionare i titoli oggi più promettenti e di gestire con una maggiore efficacia i rischi, per evitare non solo di lasciarsi sfuggire le opportunità, ma anche di subire delusioni, magari per una scelta di tempo avventata o, peggio, sbagliata.
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