L’inflazione si è già abbattuta sia sulle bollette di casa sia sul carrello della spesa delle famiglie italiane, ma che cosa accadrà alle Borse nei prossimi mesi? Ad analizzare il problema è Fidelity International in un approfondito report a cura di Salman Ahmed, Global Head of Macro and Strategic Asset Allocation del big del risparmio che a fine 2020 gestiva asset per un totale di 453,8 miliardi di euro per conto di oltre 2,5 milioni di clienti nel mondo. “La storia ci insegna che un’inflazione elevata e in aumento tende a essere dannosa sia per i rendimenti azionari sia per quelli obbligazionari, soprattutto quando i rendimenti reali sono bassi, in genere perché per controllare l’inflazione i rendimenti reali devono poi salire, con ripercussioni negative per l’attività economica e le valutazioni degli asset”, spiega esperto di Fidelity. Le implicazioni per gli investimenti dell’attuale impennata dell’inflazione sono ancora incerte, anche se – prosegue Ahmed – si sta affermando convinzione che sarà “più duratura” del previsto ed “è probabile che assisteremo a fasi di elevata volatilità sui mercati”. Insomma in Borsa bisognerà avere i nervi saldi e, come dovrebbe sempre essere, seguire i consigli di un consulente. Prima di leggere insieme l’analisi di Fidelity, è però d’obbligo una premessa: indipendentemente da come andranno le Borse il prossimo anno, i risparmiatori che continueranno a lasciare il proprio denaro parcheggiato sul conto corrente andranno incontro a una perdita certa. Perchè i tassi attivi riconosciuti dalle banche sulla liquidità resteranno rasoterra e il potere d’acquisto sarà eroso dall’inflazione.
Il doppio binario di Fed e Bce
La doppia velocità imboccata la scorsa settimana dalla Fed americana e dalla Banca centrale europea – la prima decisa a procedere con il taglio degli aiuti e a pianificare tre rialzi dei tassi già il prossimo anno, la seconda rapida a sfornare una nuova edizione del quantitative easing rafforzato e a promettere un costo del denaro stabile anche nel 2022 – dimostra come il problema del carovita sia difficile da dirimere tra tendenze strutturali e temporanee. Nel 2021 l’inflazione ha subito infatti un’impennata a livello globale: a novembre negli Stati Uniti è salita al 6,8%, aggiornando di mese in mese livelli da record, mentre in Europa viaggia oggi attorno al 3% (ma con picchi del 4% in Italia e del 6% in Germania) ed è stimata attorno al 3,2% il prossimo anno. A preoccupare è quindi soprattutto la situazione Oltreoceano: il dato americano, già a luglio il dato primario dell’Ipc era al 5,4% “è estremamente elevato per gli standard storici”, conferma l’esperto di Fidelity snocciolando le cause del problema. A sostenere il carovita sono “misure di incentivazione fiscale e liberazione della domanda repressa a causa della pandemia, interruzioni nella catena di fornitura e carenze strutturali a livello di offerta, e infine misure di incentivazione monetaria” appunto da parte delle banche centrali.
L’inflazione diventa strutturale?
Ad alimentare la fiamma del carovita a livello globale sono stati soprattutto i due fattori legati alla pandemia: la liberazione della domanda repressa e le carenze sul fronte dell’offerta. Mentre la prima è il risultato dell’utilizzo dei risparmi in eccesso accumulati da molti consumatori nel corso della pandemia, le seconde derivano da squilibri delle scorte, strozzature nei trasporti e tempi di consegna più lunghi. Quindi ora che cosa accadrà? L’inflazione resterà “persistente” ma “le forze disinflazionistiche strutturali di lungo termine non sono scomparse né si sono completamente invertite”, avverte l’esperto di Fidelity evidenziando come da un lato “l’innovazione tecnologica, i cambiamenti demografici e la globalizzazione non si arresteranno” e si attenueranno i problemi sulle forniture ma dall’altro sia la dinamica salariale sia la stessa transizione globale verso la neutralità climatica promettono di creare nuova inflazione. Quest’ultima è la cosiddetta green inflation. A conti fatti, considerando le molteplici variabili in gioco, Ahmed si aspetta “che l’inflazione si attesterà in una posizione di equilibrio più elevata “rispetto al passato anche a causa degli squilibri tra domanda e offerta causati dalla pandemia negli Stati Uniti”; tra questi ci sono il netto aumento dei salari in alcuni settori (tempo libero e ricettività in primis) e la corsa del prezzo degli alloggi, che da soli rappresentano il 40% dell’indice Ipc core Usa. “Con i prezzi degli immobili residenziali già in rialzo del 18% su base annua per effetto dell’offerta limitata, insieme a tassi ipotecari ridotti e all’abbandono delle grandi aree urbane indotto dalla pandemia, la relazione lineare tra le quotazioni degli immobili residenziali e l’inflazione degli alloggi si tradurrà in un’inflazione degli alloggi tra il 4-5% nei prossimi 12-18 mesi”, stima Fidelity. C’è poi un altro problema che potremmo definire psicologico. La stessa aspettativa di una inflazione crescente concorre a trasmettere il caro vita come un catalizzatore, per esempio per la corsa delle imprese ad accaparrarsi le scorte. Più o meno – aggiungiamo noi – come potrebbe fare un consumatore che riempie la dispensa di casa perchè teme un rincaro della pasta e degli altri generi alimentari o come quello che sta accadendo nell’edilizia con la corsa ai materiali per garantire i cantieri del Superbonus 110%.
Cosa accadrà agli investimenti
Ma ridiamo la parola a Fidelity per arrivare al nocciolo della questione: gli investimenti. “I risultati della nostra analisi dei rendimenti degli asset Usa negli ultimi cento anni dimostrano che la performance delle azioni e delle obbligazioni varia a seconda dei diversi regimi di inflazione, ovvero se l’inflazione è elevata, media o ridotta, e se è in aumento o in calo. Azioni e obbligazioni realizzano in genere una performance migliore quando l’inflazione è in calo, mentre la principale deviazione da questa tendenza si verifica quando l’inflazione è ridotta e in aumento. In questo regime, le azioni sovraperformano sulla scia di un rimbalzo simultaneo di crescita economica, utili e valutazioni”, avverte Ahmed. Anche i rendimenti reali sono importanti: quanto più bassi sono i primi tanto più alti sono in genere i rendimenti azionari, ad eccezione di quando anche l’inflazione risulta elevata e in aumento. Questo è il regime in essere da marzo di quest’anno. E la differenza tra i rendimenti azionari in contesti di inflazione “elevata e in aumento” e “elevata e in calo”, in presenza di rendimenti reali bassi, arriva addirittura a un 20% all’anno, conclude Fidelity. Insomma, lasciateci dire, forse mai come oggi in Borsa non ci sono pasti gratis e non è il momento migliore per avventurarsi nel fai-da-te. Per investire al contrario occorre avere nervi saldi, educazione finanziaria, essere capaci di diversificare (e qui lo strumento principe sono i fondi comuni) e ascoltare gli esperti.
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