Lavoro nel settore della finanza da quasi vent’anni, e non c’è giorno in cui non senta parlare dell’importanza dell’orizzonte temporale di un investimento. Viene richiesto quando si compila la Mifid di un cliente, si trovano sue indicazioni nel KIID di ogni singolo fondo comune di investimento e così via.
È proprio un peccato che nella politica italiana di questo argomento si parli poco.
Qualche anno fa l’ex premier Romano Prodi, durante un incontro presso il Centro Studi Americani di Roma, raccontò del suo primo incontro da Presidente del Consiglio con l’allora Cancelliere tedesco Helmut Kohl. Alla fine della visita sembra che quest’ultimo accompagnò il nostro premier all’elicottero e gli chiese: “E’ stato bello conoscerla, ma chi viene la prossima volta?”. I tedeschi, conoscendo la ben nota instabilità dei nostri governi, sapevano bene che Prodi, essendo a capo di una coalizione di governo quantomai eterogenea, aveva una prospettiva temporale limitata.
Quello di Draghi è il sessantasettesimo governo della repubblica ed il terzo della diciottesima legislatura. Tenendo conto che la repubblica italiana ha solo settantacinque anni di vita, è un numero considerevole. Biden oggi ad esempio è il quarantaseiesimo presidente USA dal 1788, mentre la Merkel è l’ottavo cancelliere tedesco dal 1949. Non sarà forse l’orizzonte temporale dei governi l’unico problema dell’Italia, ma di certo la loro brevissima durata non aiuta.
Oggi, immersi nel tema Covid, assistiamo ad un PIL 2020 in calo del 9% e ad un debito pubblico che esplode fino al 160% del PIL e ce ne stiamo forse scordando, ma anche prima dell’arrivo di Draghi al governo l’economia italiana faceva acqua da tutte le parti.
Nel 2019 non solo non avevamo ancora recuperato il livello di PIL precrisi subprime del 2008, ma addirittura eravamo vicini ad una nuova recessione, la terza in dieci anni! Se aggiungiamo a questo quadro i lockdown dovuti al Covid che possono portare alla chiusura di molte imprese e quindi danneggiare anche il PIL potenziale del paese, la situazione che si trova ad affrontare il nostro Presidente del Consiglio è tutt’altro che rosea.
Draghi oggi ha dalla sua un’enorme autorevolezza, ma anche le istituzioni europee lo stanno aiutando significativamente. La BCE ad esempio, per contrastare il COVID, a marzo 2020 ha lanciato il PEPP, un programma di acquisto di titoli pubblici da 1850 miliardi che molto si avvicina ad una logica di monetizzazione dei debiti pubblici dell’Eurozona.
I governi europei inoltre, per evitare l’esplosione di una crisi sociale hanno messo nel cassetto il fiscal compact, l’accordo firmato da 25 paesi europei che prevede vincoli economici comuni con l’obiettivo di contenere il debito pubblico nazionale di ciascun Paese firmatario, garantendo il principio dell’equilibrio di bilancio.
È bene inoltre ricordare che nell’aprile del 2012, proprio in ossequio a questo trattato, il pareggio di bilancio è stato inserito nella costituzione italiana con un voto parlamentare a larga maggioranza. Oggi invece tutti i governi europei sono impegnati in una politica fiscale estremamente espansiva per contenere i danni della crisi.
Aggiungiamo a questo che l’Europa col Next Generation EU sta vivendo anche un suo piccolo momento hamiltoniano, dal nome di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti che nel 1790 riuscì a trasformare il debito che le 13 colonie avevano accumulato nella lotta per l’indipendenza dal Regno Unito in debito pubblico del nuovo stato federale, mettendo così le basi per la nascita dei moderni Stati Uniti. Molti non sono d’accordo con l’analogia, ma qualcosa di vero in questo c’è. Il Next Gen EU, coi suoi 750 miliardi di bilancio fra prestiti ed elargizioni a fondo perduto è un evento storico per l’Unione Europea.
Sfortunatamente però ci sono molte incognite. Qual è l’orizzonte temporale del governo Draghi? Finirà la legislatura o sarà il nuovo presidente della Repubblica a febbraio 2022, lasciando l’incarico dopo poco più di un anno (e verosimilmente molte cose a metà)? Ed eventualmente chi sarà il successore? Cosa ne sarà del nostro spread quando il PEPP della BCE finirà a marzo 2022? E quando a fine COVID i paesi “frugali” chiederanno il ritorno all’austerità, lo otterranno oppure continueremo con politiche fiscali espansive? Anche i tempi di implementazione del Next Gen EU lasciano più di una perplessità.
Ad oggi, fatto salvo il Next Gen Eu, l’unico vero strumento di mutualizzazione del debito europeo è la politica monetaria della BCE, che ha fatto molto, ma non può certo salvare l’economia italiana da sola. Lo dovremo fare noi italiani. Certo che se pensiamo di farlo comportandoci come presidenti impazziti di una squadra di calcio che cambiano l’allenatore di continuo e sempre riponendo nel successivo attese messianiche, auguri! Del resto, la Nintendo non sostituì il suo famoso videogioco Supermario bros con Superluigi bros.
Alessio Benaglio