5 cose da sapere prima di comprare un’auto da qui al 2025

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È notizia recente l’approvazione del parlamento europeo della direttiva che potrebbe impedire la vendita di nuovi veicoli con motori a combustione interna, anche in versione ibrida dal 2035. Ce ne parla Fabrizio Fornezza

Molti commenti critici si sono focalizzati sul valore ideologico di questa decisione e sui danni che farà all’industria, all’occupazione ed in ultima analisi all’economia europea.

Molti commenti si sono anche concentrati sulla scarsa capacità di lettura strategica da parte dell’Europa: l’elettrico necessita di un sistema integrato (dalla produzione, al rifornimento, al riciclo) che al momento non esiste; necessita di fonti energetiche sostenibili che al momento ed in prospettiva copriranno solo in parte il fabbisogno europeo (soprattutto in presenza di una crescita esponenziale di energia elettriche che la transizione comporta). Richiede una riconversione industriale che è al di là da venire e che vede Cina e Stati Uniti, per motivi diversi, più avanti dell’Europa. 

Senza dimenticare il tema delle nuove materie prime, necessarie alla transizione. Come ha ironicamente scritto di recente Thomas Bialas, futurologo: “volete l’elettrico? cominciate a scavare!”. La battuta intende ricordarci che una produzione di massa di auto elettriche richiede minerali rari in quantità molto maggiore a quelli attualmente estratti e disponibili.  Non parliamo poi di chi controlla questi minerali. Il Donbass, ad esempio, è area primaria per l’estrazione di Litio in Europa, magari ci ricorda qualcosa. In altre parole: stiamo forse buttando bambino ed acqua sporca. Per risolvere un problema oggettivo, ne creiamo altri che potrebbero ritorcersi contro di noi. 

L’Italia sarà direttamente investita da questa transizione. Siamo un filo più avanti dell’Europa sulle rinnovabili (la forza nell’idroelettrico serve a qualcosa) e molto più indietro sia sulla logistica elettrica (reti, colonnine di ricarica) che sulla transizione dell’importante industria automobilistica e del suo indotto.

Ma da questo pasticcio quali indicazioni strategiche possiamo cogliere?  Come sarà il nostro futuro?  Proviamo a disegnare un quadro degli eventi probabili, sapendo che con altrettanta probabilità non si verificheranno completamente, perché – e questa è già una previsione – entreranno in gioco forze politiche, economiche e sociali che modificheranno in una certa misura il percorso europeo, al momento semplicemente insostenibile. Malgrado tutto, vale la pena tentare qualche previsione o almeno disegnare alcune tendenze.

È comunque molto probabile che quanto sta accadendo comporterà un costo importante da pagare sull’altare di una transizione energetica, fondamentale, ma affrontata oggi dall’Europa con afflato molto ideologico e poco strategico: l’aumento dell’incertezza per tutti: consumatori, imprese e governi.

 

  1. Ricchi alla spina, poveri a piedi?

L’auto in generale rischia, in questo contesto di aumenti generalizzati, di diventare un prodotto di nicchia, per benestanti.  Magari non varrà per tutti i paesi, ma se pensiamo all’Italia questo potrebbe essere la previsione più probabile.  Il combinato disposto delle tensioni su prezzi dei veicoli, transizione energetica e redditi potrebbe portare a scomporre la mobilità individuale in mercati separati: auto elettriche nuove di elevata performance e costo per happy few ed una economia circolare (usato, sharing, etc.) per tanti altri. 

Il 2035 potrebbe assomigliare agli anni ’30 precedenti, intesi come quelli del secolo scorso (1930) prima della motorizzazione di massa (ma – per onestà intellettuale – anche con importanti differenze sulle soluzioni per chi non si potrà permettere il possesso di un’auto nuova). L’auto privata come un lusso per pochi. Le conseguenze sulle vendite e sulla sostenibilità per l’attuale sistema di distribuzione non sarebbero banali.  Il mercato del nuovo sembra valere in questo tribolato 2022, fra 1,2 e 1,4 milioni di pezzi venduti (le stime più alte sono quelle ottimistiche che prevedono nel 2022 un pieno successo degli incentivi).

Oggi il mercato italiano è composto al 97% da auto a motorizzazione termica classica o ibrida, in calo di vendite, ma ampiamente maggioritarie nei volumi. Le auto elettriche “pure” rappresentano oggi solo il 3% del venduto. Ovviamente la transizione vedrà aumentare molto questo valore, ma la capacità di sostituire da qui al 2035 con soluzioni elettriche a prezzi ragionevoli il parco auto attuale, mantenendo allo stesso tempo viva la filiera di distribuzione sul territorio, appare ancora una questione aperta.

 

  1. Ibrido addio: ma chi me lo ha fatto fare?

Fra termico ed elettrico, come avrebbe detto la logica aristotelica: “terzium non datur”, quindi bye-bye ibrido. Almeno a leggere quanto dettato oggi dall’Europa. Le decisioni della comunità europea penalizzano a tendere tutte le motorizzazioni termiche (benzina, diesel), anche se accompagnate da ibridazioni elettriche (incluse le plug in). Potremmo dire che chi ha scelto di spendere di più (e non poco) per comprare una buona soluzione ibrida plug in prospettiva potrebbe non aver fatto la scelta più illuminata.

E’ (probabilmente) solo un cattivo pensiero: in 13 anni il tempo – e l’ammortamento dei veicoli acquistati oggi – lenirà il dolore provocato da questi gesti di fiducia ecologica del consumatore, poco sostenuti dall’Europa.  Resta il fatto che tutto il lavoro svolto da consumatori ed industria sull’ibrido, allo stato attuale dei fatti, sembrerebbe da buttare. Con impatti nella competizione anche fra brand, che potremmo brutalizzare con un: “Tesla batte Toyota 2 a 0”.

In prospettiva sembrerebbe dunque meglio comprare una buona auto diesel/benzina classica (euro 6 o 7), spendendo meno ed aspettando di vedere cosa succede.  È quello che in fondo stanno facendo gli italiani, come suggeriscono i primi dati sugli incentivi: dopo le prime settimane quelli per motori termici a basse emissioni, sono praticamente esauriti, quelli per l’elettrico puro … sono ancora a disposizione. 

 

  1. Usato? Sicuro!

Gli incentivi alla transizione ecologia sui veicoli oggi prevedono un premio per la rottamazione dei veicoli da Euro 4 in giù. Un premio aggiuntivo di circa 2000 €. Ma l’usato già oggi (con i problemi delle supply chain globali e la domanda crescente di soluzioni low cost da parte di famiglie in oggettiva difficoltà economica) inizia a valere ben di più. E gli italiani che hanno un’auto usata – come ci dicono le ricerche – stanno nettamente propendendo per la vendita dell’usato e non per la sua rottamazione, se non per i modelli oggettivamente inguardabili ed inguidabili.

Paradossalmente, quindi, le decisioni per favorire la transizione ecologica daranno un contributo all’invecchiamento del parco auto nazionale.  La decisione europea che traguarda al 2035 favorirà il mercato dell’usato? Pensiamo di sì.  L’usato (in fondo è economia circolare e dunque in linea con i valori del miglior uso delle risorse) avrà un importante futuro nei prossimi anni. Con un caveat: il ricorso all’usato “termico” (che sarà la soluzione per le famiglie con minori risorse) sarà comunque frenato da crescenti limitazioni alla circolazione soprattutto nelle aree metropolitane (Milano docet, a partire dall’autunno 2022).

Ma questo aprirà una interessante contrapposizione – anche politico-elettorale –  fra transizione energetica e bisogni della popolazione.  La politica, anche locale, soprattutto nelle aree metropolitane, avrà il suo bel da fare per gestire le istanze di mobilità individuale “libera” e a basso costo che andranno ad emergere con maggior forza nei prossimi anni.

 

  1. Dalle fabbriche del mondo alla fabbrica del paese: il valore per noi dell’economia circolare e dell’usato garantito

L’usato sta assumendo nuovi connotati nel nuovo scenario. In primis ci si aspetta molto di più dall’usato “di qualità”, che sta uscendo (Vinted insegna) dall’area pauperistica dove era stato relegato dalla globalizzazione centrata su prodotti nuovi di basso costo e bassa qualità.  Nel contesto descritto, la domanda di usato garantito e ricondizionato andrà a crescere rapidamente (come ci ricorda l’Osservatorio Findomestic sui consumi).

Veniamo da decenni nei quali le fabbriche del mondo che ci garantivano prodotti nuovi a basso prezzo stavano a decine di migliaia di km da noi. La “nuova” filiera della garanzia e del ricondizionamento non starà più a migliaia di km dal consumatore. Starà qui, vicino al consumatore, a chi tratta l’usato e lo garantisce.  Quindi l’usato garantito è parte del processo di re-shoring e fornisce qualche chance in più al sistema nazionale.  Certo, facile dirlo, ci vuole manodopera formata, imprese dedicate e logistica efficiente. Ma soprattutto un prodotto in grado di essere ricondizionato, che significa che il miglior prodotto usato è quello che è stato pensato per il riuso fin dall’inizio.

Altro che obsolescenza programmata dei prodotti, anche nella ideazione e produzione del nuovo veicolo si apre un capitolo quasi dimenticato e centrato sulla “facilità” nel ricondizionamento e la commerciabilità dell’usato. Un approccio che apre nuovi spazi anche per il marketing e la comunicazione (e gli storytelling dei front end) nell’automotive. Avremo di fronte nuove opportunità ed  argomentazioni, non solo quelle classiche basate sulla desiderabilità dell’auto nuova, ma anche sul ROI di medio periodo garantito dal veicolo.

 

  1. Il concessionario auto? Che brutto nome…cambiamolo

Il futuro dei concessionari auto è messo fortemente in discussione dal calo delle vendite e dalle stesse case automotive, con decisioni non sempre viste di buon occhio dai retailer del settore. Ma i retailer automotive (quelli bravi) hanno – nel nuovo scenario – più assi nella manica ed un futuro assicurato. Per sfruttarli devono saper uscire dalla logica di vendita tradizionale e diventare dei veri e propri “hub della mobilità individuale”: un sistema di servizi e prodotti flessibile, adatto a più esigenze e segmenti, in grado di proporre auto nuove, usate garantite, ma anche di svolgere il ruolo di mediatore e di garante tecnologico nel mercato C2C (la vendita fra privati).

Senza dimenticare, ovviamente, anche le soluzioni di rental (di breve e lungo periodo). Per raggiungere il nuovo status c’è un forte lavoro trasformazionale da compiere: nulla è regalato. Bisogna formare i venditori ad un diverso ruolo: consulenti di mobilità, quasi neutrali rispetto alle soluzioni vendute e dotati di strumenti ed argomentazioni per trovare la soluzione adatta ad ogni necessità. Ci vuole una superiore capacità di gestione nel tempo del cliente (un CRM vero); una migliore gestione integrata dei canali digitali e fisici e qualche investimento in soluzioni tecnologiche per supportare la consulenza.

Prendiamo ad esempio la vendita di una nuova auto elettrica: ha un futuro più luminoso ma un prezzo più alto di una equivalente a combustione interna. Il suo valore in termini di qualità/prezzo non si misura più soltanto all’acquisto, ma anche nella capacità di valorizzare una sorta di total return sull’investimento in quella automobile, nel tempo. Come accennato prima, ci troveremo a vendere il ROI dell’investimento nell’auto e non solo il suo costo di accesso (con un ruolo importante per il credito al consumo nella spalmatura dell’investimento). Se il nuovo hub della mobilità individuale sarà in grado di fare tutto questo perché chiamarlo ancora “concessionari”?  Troviamogli un nome nuovo, più vicino al suo nuovo “purpose” sociale, per la filiera e per i suoi clienti.

 

Fabrizio Fornezza (© Research Dogma 2022), 17 giugno 2022

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