Cicli economici, è il momento dei paesi emergenti?

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L’evoluzione socioeconomica del pianeta sta lentamente sovvertendo gli equilibri sui quali si reggono le visioni future in ambito di opportunità finanziarie e di investimenti in genere; non a caso la rapida ascesa di alcuni dei paesi definiti ancora oggi emergenti (ma che sono già realtà affermate a tutti gli effetti) ha destato l’attenzione di grandi gruppi imprenditoriali multinazionali, banche d’affari ed SGR.

La supremazia assoluta delle nazioni storicamente affidabili finanziariamente sta cedendo il passo ad un nuovo blocco di paesi startup ognuno dei quali mira ad attrarre capitali sottraendoli alle classiche aree economiche delimitate da euro, dollaro, yen e yuan, ovvero Unione Europea, Stati Uniti, Giappone e Cina.

Inoltre, la pandemia ed il conflitto russo-ucraino hanno determinato di fatto un dispendio di energie e capitali che sono stati sottratti alla crescita e lo sviluppo delle citate aree.

Ulteriore elemento da considerare all’interno di queste nuove dinamiche è la difficoltà, che hanno gran parte dei paesi appartenenti alle quattro aree valutarie, a ridurre il debito pubblico che ha raggiunto in alcuni casi cifre stratosferiche; è il caso degli USA, ad esempio, della stessa Italia e del Giappone che addirittura ha superato la linea del 266% del PIL.

Ciò, inevitabilmente, eleva i livelli di allarme da verde a giallo, e ad un solo step dal rosso.

Nonostante il nuovo assetto mondiale non comporti (ancora) una minore affidabilità delle aree geografiche in questione sono sempre più frequenti le “distrazioni di capitali” (da mercati affermati ad emergenti) ad opera dei grandi players che accordano fiducia a mega-progetti di sviluppo dietro i quali vi sono Governi non gravati da eccessivo debito e, soprattutto, in alcuni casi, monetariamente sovrani.

È il caso dell’Arabia Saudita, ad esempio, il cui rapporto debito/PIL è al 25%, Repubblica Ceca ed Ungheria, per restare in ambito europeo, rispettivamente con il 30,8% ed il 66% e di altre nazioni la cui politica è principalmente finalizzata ad attrarre capitali esterni da destinare a crescita interna ed affermazione come mercati altrettanto affidabili se paragonati agli storici hub della finanza globale.

Naturalmente le valute di riferimento non muteranno ed è proprio questa la ragione per la quale le politiche economiche dei paesi emergenti hanno il principale scopo di acquisire riserve delle principali valute attraverso l’offerta di investimenti strutturali, l’emissione di bonds denominati in valuta locale o l’acquisizione di assets fuori confine.

Dobbiamo però necessariamente dividere i suddetti paesi in due gruppi in quanto le dinamiche di sviluppo e di politiche mirate ad attrarre capitali, per ovvie ragioni, sono necessariamente differenti; intendo la divisione tra paesi emergenti con sovranità monetaria e paesi emergenti senza sovranità monetaria; naturalmente i primi saranno più avvantaggiati ed i secondi meno e, tra l’altro, sono tutti in Europa.

Ecco perché la sfida che attende il vecchio Continente è molto più ardua senza una strategia comune che non comporti faide interne tra paesi che si fanno concorrenza sleale, come invece sta accadendo da tempo, proprio nei nostri confronti, da parte di Francia, Germania ed Olanda che pressano le istituzioni Europee affinché adottino provvedimenti nocivi per il made in Italy.

Va da sé che le azioni di contrasto ad inflazione e crisi energetica, per restare all’interno del periodo che stiamo vivendo, stanno avvantaggiando paesi che oltre alla sovranità monetaria sono esportatori di materie prime per la produzione di energia.

Pertanto, la partita si gioca tenendo in debita considerazione due fattori: indipendenza monetaria ed indipendenza energetica, vantaggi che nessun paese UE può vantare.

Tornando alla questione centrale, le congiunture appena descritte, in aggiunta alle capacità di spesa e di innovazione dei paesi emergenti, inducono a programmare investimenti graduali, ma costanti, in questi nuovi mercati all’interno dei quali sono proprio le visioni future di trasformazione, soprattutto, infrastrutturale, immobiliare, energetica ed alimentare a generare la nascita di mega progetti da considerare a medio-lungo termine.

Sono infatti ormai delle realtà le nuove frontiere della finanza e del real estate negli Emirati, le nuove cattedrali nel deserto in ambito alimentare, turistico ed immobiliare programmate dall’Arabia Saudita, le agevolazioni fiscali per società ed imprese dei paesi UE dell’Est e le spinte all’innovazione tecnologica di nazioni asiatiche quali Malesia ed Indonesia.

I cosiddetti mercati emergenti possono essere considerati quasi delle realtà consolidate con le quali confrontarsi, o dei veri e propri competitors con ambizioni di diventare futuri hub mondiali per settori.

Questa competizione non può che creare delle ottime opportunità d’investimento perché sappiamo che dov’è c’è solidità, know-how e visione strategica il profitto è dietro l’angolo.

Antonino Papa, 11 febbraio 2023

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