I prezzi corrono: non succedeva dal 2008. Energia, alimentari e trasporti sotto accusa. Si arriva a + 4% per l’indice europeo.
Sta correndo velocemente: forse troppo, secondo gli economisti di mezzo mondo. L’inflazione fatica ad essere sotto controllo e novembre verrà ricordato come un “mese nero” di un anno ancor più nero come la pece in molti settori, soprattutto nei settori dell’approvvigionamento e in quello energetico.
L’inflazione dell’Eurozona a novembre è salita al 4,9% sotto accusa da più parti i prezzi dell’energia che hanno registrato l’incremento più alto (+27,4%). E le Borse europee, sempre molto sensibili alle principali variabili che determinano lo scostamento dei prezzi, hanno registrato un fixing negativo costante.
Così sono tutti in calo a fine settimana scorsa: il FTSE MIB -1,63 di Milano, con il dato sull’inflazione salito dello 0,7% a novembre e del 3,8% su anno, un record superiore a quello del 2008; CAC 40 -1,41% di Parigi, con l’inflazione in rialzo su mese e su anno e i consumi delle famiglie in ribasso, il DAX 40 -1, 58% di Francoforte, l’IBEX 35 -2,02 di Madrid, l’AFX -1,31% di Amsterdam.
Il Vicepresidente della BCE Luis De Guindos ha ammesso di recente che “i problemi legati all’approvvigionamento e quelli del settore energetico, a livello di costi, sono stati sensibilmente più rilevanti del previsto”. Ed il rischio che l’inflazione non scenda più del previsto nel breve e medio termine è assolutamente realistico perché la crisi del trasporto delle merci per una economia semi-ferma come quella del 2020 e gran parte di quest’anno, nonostante il mondo si sia rimesso in moto con la grande corsa all’approvvigionamento delle materie prime; e lo smisurato aumento dei costi energetici, con le riserve di gas in gran parte esaurite dopo un rigido inverno quale è stato quello del 2020 ed ora con una richiesta da parte di molti paesi superiore all’offerta, non fanno che intravedere fosche previsioni all’orizzonte.
Ma c’è un’altra domanda che gli economisti si stanno ponendo in questo periodo: se l’inflazione nel breve periodo possa diventare incontrollabile con gravi ripercussioni non solo economiche ma anche politiche a medio termine. “Nell’attuale incertezza è fondamentale – aggiunge De Guindos – esaminare le aspettative sui prezzi per vedere a quale livello si stabilizzeranno”.
Per questo bisognerà tenere sotto controllo un terzo aspetto potenzialmente inflativo: l’impatto salariale, dal momento che molte trattative contrattuali sono state rinviate alla fine di quest’anno e all’inizio del prossimo 2022. I dati ISTAT di quest’anno relativi all’inflazione acquisita per quest’anno (ovvero quanto aumenterebbe l’indice dei prezzi se l’anno terminasse ora) è pari a +1,9% per l’indice generale e a +0,8% per la componente del fondo.
Ancora una volta, secondo l’ISTAT, a determinare questa impennata inflativa è sempre in larga parte il boom dei Beni energetici (da +24,9% di ottobre a +30,7% attuali) e, in particolare, a quelli della componente non regolamentata (da +15,0% a +24,3%), mentre la componente regolamentata, pur mantenendo una crescita molto sostenuta, registra un lieve rallentamento (da +42,3% a +41,8%).
Infine c’è un ultimo dato che preoccupa gli economisti in relazione all’inflazione, che si sta registrando nelle banche centrali di molti paesi: l’aumento dei tassi di interesse. Ma qui dovremo aspettare a fine anno per un quadro completo e per azzardare una previsione sul 2022.
Lorenzo Palma, 1 dicembre 2021