Alzheimer: ci stiamo avvicinando a una cura?

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Si stima che ad oggi 44 milioni di persone siano afflitte dall’Alzheimer. È una vera e propria piaga a cui la medicina sta faticando a trovare una risposta.

La memoria è parte fondamentale di chi siamo. La nostra identità ne dipende, poiché è la memoria che mantiene la continuità logica, fisica ed emozionale che collega il nostro passato al presente e che ci permette di proiettare noi stessi nel futuro. La sua compromissione è tragica, in primis per l’individuo che ne soffre, la cui comprensione della propria esistenza, nonché indipendenza viene danneggiata irreparabilmente. In secondo luogo è tragica per i suoi cari, che di fatto assistono ad un lento declino del proprio familiare.

Oltre che sotto un punto di vista umano, l’Alzheimer è anche un fattore di stress per le risorse delle famiglie, nonché per l’economia di un paese. Il Ministero della Salute stima che in Italia circa 1 milione di persone siano affette da demenza e circa 3 milioni siano direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. L’invecchiamento della popolazione del nostro paese, spinto anche da una forte decrescita del tasso di natalità, rende ancora più urgente la scoperta di una cura.

La malattia è stata scoperta nel 1906 dallo psichiatra e neuropatologo Alois Alzheimer. La storia narra che la sua concezione del morbo nasca dallo studio di una paziente di nome Auguste Deter, la quale soffriva di demenza degenerativa molto sviluppata. Durante la sua autopsia, Alzheimer notò due caratteristiche peculiari nel suo cervello: molte cellule nervose (neuroni) erano sparite e nelle rimanenti vi erano grandi depositi di neurofibrillari.

Successivamente, altri depositi tra neuroni che disturbano il loro funzionamento sono stati identificati nelle persone afflitte dal morbo. Sono concentrazioni di placche amiliodi. La comprensione della malattia rimane comunque decisamente incompleta. Per esempio, la validità di queste stesse ipotesi sono spesso minate da nuovi dati, come la scoperta della presenza di questi ammassi nei cervelli di molti seniors che non soffrono di perdita di memoria e non danno segni di demenza senile.

Oltre un secolo è passato dalla scoperta dell’Alzheimer, eppure la scienza deve ancora trovare una cura. Le compagnie farmaceutiche stanno concentrando le loro ricerche sugli anticorpi monoclonali anti β-amiloide, ma non si sa per certo se le placche sono la causa della degenerazione cognitiva o un mero sintomo.

Oltre 200 composti sono stati sperimentati, ma nessuno si è rivelato essere efficace e grandi compagnie come Pfizer hanno addirittura annunciato di aver rinunciato. Ci sono però anche sviluppi incoraggianti, come l’approvazione lo scorso novembre in Cina del medicinale Oligomannate (GV-971), la cui sperimentazione ha mostrato segni di miglioramento in soggetti con sintomi moderati di Alzheimer. La cura è innovativa nell’approccio al morbo, in quanto regola squilibri nel microbioma prevenendo e riducendo neuro-infiammazioni.

Il successo di Green Valley, la compagnia farmaceutica di Shangai che ha sviluppato il medicinale, è stato il primo dopo quasi due decenni di fallimenti. In America Biogen ed Eisai (compagnia giapponese) stanno invece aspettando l’approvazione dell’FDA per il farmaco Aducanumab, un anticorpo monoclonale anti β-amiloide. La deliberazione dovrebbe aver luogo a marzo 2021, anche se l’approvazione non è certa.

Anche la comprensione del morbo sta avanzando. Per esempio, oggi è disponibile un test che misurando i livelli di p-tau217 prevede con successo il 96% dei casi. Inoltre, 12 fattori di stress che aumentano la probabilità di sviluppo del morbo sono stati identificati. Sono i seguenti: fumo, alta pressione, obesità, perdita di udito, bassa attività cognitiva, diabete, eccessiva consumazione di alcol, traumi celebrali ed esposizione a inquinamento.

Un’altra fonte di ottimismo è il progresso nell’analisi di big fata, che accelera esponenzialmente il progresso della medicina, come quello di molti altri campi di ricerca. È vero che una cura non è ancora disponibile, ma la storia, così come le risorse e gli strumenti di cui disponiamo oggi, dovrebbero infondere speranza e ottimismo di fronte a questa sfida, a prescindere dalla natura della liberazione dell’FDA a marzo.

 

Fonti:

The Economist – The search for a cure for dementia is not going well.

Andrew E. Budson – A new Alzheimer’s drug: From advisory panel to FDA – what’s at stake here?

Andrew Joseph – A new Alzheimer’s therapy is approved in China, delivering a surprise for the field but also questions.

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