Una delle più divertenti clip che ci hanno strappato un sorriso nella lunga, drammatica, stagione del lockdown è sicuramente quella della ragazza che si prepara di tutto punto e alla domanda della madre: “dove vai?” risponde: “a fare un giro in cucina”. Poi è scattato il quasi liberi tutti, ma nelle case è rimasto lo smart working.
Quasi ogni azienda che non abbia la necessità di personale di produzione ha allungato, almeno fino a settembre, il lavoro da casa. Compresa la Pubblica amministrazione. E qui clicchiamo un tasto non certo simpatico che ci apre una finestra su quei milioni di dipendenti pubblici (a partire dal mondo della scuola) i quali si sono trovati a gestire le proprie mansioni in remoto.
Molti di essi, sia per mancanza di strumenti informatici e una connessione Internet robusta sia per la mancanza di un coordinamento organizzativo dei responsabili dei loro uffici, hanno fatto… un bel niente lamentando, nella maggior parte dei casi, una situazione di disagio nel non poter fornire il proprio contributo in momento così difficile. E le prospettive sono che questa situazione potrebbe proseguire con una micidiale disparità nei confronti dei lavoratori del settore privato, sottoposti ad esempio alla cassa integrazione o al timore di perdita del posto, mentre dall’altra parte è stato sempre assicurato lo stipendio pieno.
Sarebbe facile a questo punto cercare i colpevoli, ma una lezione che ci sta insegnando la pandemia è proprio quella che, invece, dal disastro dobbiamo imparare tutti a trovare delle soluzioni. Ok, per tanti motivi lo smart working nella Pubblica amministrazione ha mille difficoltà. Allora ogni organizzazione dovrebbe mettere in atto un’analisi attenta di cosa stia o non stia funzionando, dei problemi che i dipendenti stanno segnalando, dei suggerimenti che arrivano anche da chi in quei settori lavora da anni.
Senza disegnare un perimetro completo il rischio è quello, come sta avvenendo, di non avere una “connessione” e che ognuno cerchi una propria strada con soluzioni poco efficienti o si trinceri dietro la giustificazione ”non abbiamo le risorse”. Caso tipico è quello dei pc per i dipendenti e la rete veloce. Perché non prevedere un credito di imposta al 100% per chi acquista un portatile o un fisso collegato al posto di lavoro, così come una connessione veloce, permettendo un pagamento dilazionato? In questo modo, tra l’altro, avremmo una diffusione di strumenti tecnologici fondamentale per il Paese. Purtroppo lo abbiamo visto, e lo stiamo vedendo, con il digital divide della scuola.
Certo è un impegno, ma stiamo parlando di lavoro, di futuro, di garantire ai cittadini strutture che funzionino al meglio.
Altrimenti la tanto sbandierata guerra alla burocrazia rischia di arenarsi tra la cucina e la sala.
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