Verso le ore 7:40 del 23 marzo scorso la Ever Given, una nave porta-container gigante, si è incagliata al chilometro 151 del Canale di Suez, creando uno degli ingorghi più grossi della storia del commercio internazionale. Il super cargo, lungo 400 metri e largo 59 metri, era in navigazione verso il porto di Rotterdam, in Olanda, dopo essere salpato dal porto di Yantian, in Cina.
La nave taiwanese da 224.000 tonnellate e che trasporta 18.300 container, che le fanno raggiungere un’altezza di circa 60 metri (come un palazzo di 15-20 piani), battente bandiera panamense, si è arenata a causa di una tempesta di sabbia, che ha ridotto da un lato la visibilità in quel tratto del Canale, dall’altro ha causato grosse difficoltà di manovra anche per il forte vento, che soffiava a 40 nodi.
L’incidente ha creato il blocco di una delle vie d’acqua più importanti al mondo e ha fatto subito lievitare il prezzo del petrolio, cresciuto del 5%. Giorno dopo giorno è cresciuto il numero delle navi da trasporto in attesa di transitare per il Canale di Suez. Domenica 28 marzo ha raggiunto la cifra “monster” di 360 unità, incluse 25 petroliere.
L’importanza strategica del Canale di Suez
Il Canale di Suez, situato in Egitto, continua a giocare sin dalla sua apertura, avvenuta nel 1869, un ruolo strategico di rilievo nello scacchiere geopolitico e del commercio marittimo globale. È l’anello di congiunzione tra Occidente e Oriente, e permette l’interconnessione tra il sistema economico-commerciale euro-atlantico-mediterraneo e quello dell’indo-pacifico. Dal suo condotto di 193,3 chilometri, il più lungo al mondo senza chiuse, passano circa il 10% del commercio marittimo globale e circa il 25-30% del totale delle navi porta-container, perché consente di accorciare di due settimane il passaggio dall’Asia all’Europa, evitando di fare il periplo dell’Africa. Non è un dato di poco conto, considerando che il 90% del traffico commerciale mondiale passa via mare.
Suez è quindi uno dei “colli di bottiglia” più nevralgici al mondo, come il Canale di Panama o lo stretto di Malacca. Nel corso della storia tutte le grandi potenze hanno cercato di controllarlo, per questioni non solo commerciali ma anche geopolitiche. Nella storia il ruolo di superpotenza mondiale, detenuto prima dal Regno Unito e oggi dagli Stati Uniti, il cui primato è oggi messo in discussione dall’ascesa della Cina, è stato infatti conquistato grazie al controllo dei mari e degli stretti più rilevanti. Nell’età antica i greci avevano coniato un termine per definire il dominio dei mari: talassocrazia.
Negli ultimi anni, almeno fino alla pandemia, il traffico delle merci attraverso il Canale di Suez è cresciuto così tanto da giustificare la progettazione del raddoppio del suo tratto. Dal 2015 è stato parzialmente raddoppiato il Canale, con un nuovo tratto di 35 chilometri realizzato per diminuire i tempi di transito delle navi e aumentare il traffico delle porta-container giganti, come la Ever Given.
I costi del blocco per il made in Italy
Il blocco per diversi giorni del Canale Suez, che al momento della stesura di questo articolo non è ancora vicino alla risoluzione, preoccupa anche molte aziende italiane del made in Italy che esportano in Asia.
Secondo un’analisi di Srm, il Centro Studi di Intesa Sanpaolo, nel 2020 gli scambi via mare tra l’Italia e i Paesi asiatici via Suez sono stati di 82,8 miliardi di euro, pari al 40,1% del commercio marittimo complessivo del nostro Paese. I problemi da affrontare per gli imprenditori italiani in questo giorni sono principalmente due: come gestire le navi ferme nel Canale di Suez e come affrontare la sfida di pianificare nuove rotte per le imbarcazioni in partenza dall’Italia o in arrivo, con il rischio di congestionare i porti nazionali ed europei.
Ma cosa rischiano le aziende nel breve periodo? In primis un esaurimento delle scorte e l’interruzione delle catene di approvvigionamento. Per scongiurare questo scenario molte compagnie di navigazione stanno pensando di circumnavigare l’Africa, grazie alle rotta che passa per il Capo di Buona Speranza. Un percorso più lungo (7-9 giorni in più), più costoso e meno sicuro.
La vulnerabilità della logistica nell’economia globale e il gigantismo delle navi cargo
Il caso della nave Ever Given, una tra le porta-container più grandi al mondo, ci fornisce un esempio lampante di come siano ancora oggi vitali i collegamenti via mare per quanto riguarda il commercio internazionale e l’economia globale. Nonostante le potenti tecnologie oggi disponibili, la logistica rimane ancora fortemente legata allo spostamento fisico e transcontinentale delle merci via mare e cielo, su ruota e ferrovia. Basta un “cigno nero” come l’incidente della Ever Given o lo scoppio di una crisi locale, che blocchi un “collo di bottiglia” come Suez, per creare grossi problemi alla logistica internazionale, con ricadute economiche considerevoli su scala globale. Come il Covid-19 ha messo a nudo la nostra vulnerabilità per quanto riguarda la salute pubblica, il caso della porta-container Ever Given ci deve far riflettere sulla dipendenza dell’economia globale dalle rotte commerciali fisiche, sopratutto marittime, al di là dello sviluppo delle nuove tecnologie e delle reti digitali, e sul come sia vulnerabile la logistica da essa dipendente.
Il caso della Ever Given ha inoltre messo a nudo un altro problema: il crescente gigantismo delle navi cargo. Queste navi hanno comportato negli ultimi anni ingenti investimenti non solo da parte degli armatori, ma anche da parte degli stati e di chi gestisce i porti, per adeguare le infrastrutture a questi nuovi palazzi dei mari. Il fenomeno del gigantismo delle navi cargo ha favorito una maggiore monopolizzazione di questo mercato da parte di pochi operatori e un aumento della sua vulnerabilità, come ci sta dimostrando il blocco attuale del Canale di Suez dovuto a una “megaship”. Vale la pena riflettere.
Alessandro Fuso